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  Pubblicato il 10 Apr 2018  10:48
LA TREDICESIMA PUNTATA
 
Mercoledì 30 aprile - Ore 18,30
L'incriminazione di Rachele Caramanno aveva fatto tornare il sorriso sul volto del Questore, che aveva convocato immediatamente nel suo ufficio Arnò e il procuratore Rossi. "Vi faccio i miei complimenti per la rapidissima soluzione del caso Portoghese".
Rossi, restio a prendersi meriti che non gli appartenevano, spiegò al questore che "siamo arrivati alla Caramanno grazie a una felice intuizione dell'ispettore della Scientifica Eliana Croce. Poi tutto è stato facile, ci ha aiutato non poco la tecnologia".
"Tuttavia - intervenne Arnò - è merito del dott. Rossi se la Caramanno ha confessato. Il suo avvocato voleva imporle il silenzio, cosa che ci avrebbe messo in grande difficoltà".
Al questore poco o nulla interessava di chi fossero i meriti per la risoluzione del caso, l'unica cosa che gli stava a cuore in quel momento era comunicare al più presto i risultati dell'inchiesta ai media, che continuavano a martellare l'opinione pubblica chiedendo la sua testa. "Bisogna convocare al più presto una nuova conferenza stampa".
Arnò e Rossi si guardarono negli occhi come per dire: "Parli tu o intervengo io?".
Intervenne Rossi: "Sono d'accordo con lei signor questore, i media vanno informati immediatamente, ma con prudenza".
"Sarebbe a dire?".
"In questo momento l'unico nostro timore è che l'assassino di Betta Dellagro e Veronica Nesti colpisca nuovamente per dimostrare che esiste un omicida seriale, cosa di cui dubitiamo fortemente. Il commissario Arnò ed io siamo giunti alla conclusione che la storia del serial killer è soltanto una messinscena dell'assassino per nascondere il vero movente e rendere più difficile l'individuazione del colpevole".
"E la stampa cosa c'entra in tutto questo?", chiese il questore.
"Se - intervenne Arnò - raccontiamo ai media tutta la verità, e cioè che Portoghese nulla aveva a che fare con l'omicidio delle due pallavoliste, il vero colpevole potrebbe continuare a sentirsi in pericolo e colpire ancora per cercare di depistarci. Non dimentichiamo che l'assassino ha già individuato una terza vittima, ce lo dice la lettera A lasciata sul posto di Veronica Nesti".
"E quindi cosa suggerite?".
"Diremo alla stampa che Portoghese aveva una relazione con Veronica Nesti e che importanti indizi in nostro possesso ci inducono a credere che sia stato lui ad uccidere entrambe le pallavoliste. Questo potrebbe indurre il vero colpevole a sentirsi più tranquillo e a recedere dalla sua intenzione di ammazzare un'altra ragazza".
E qui il questore si guadagnò con largo anticipo lo stipendio che avrebbe ricevuto il 27 maggio: "Se l'assassino, come voi sostenete, ha messo in piedi la messinscena del serial killer rischiando tantissimo, significa che è ancor più grande il rischio che la Polizia risalga a lui per qualcosa che è davanti ai nostri occhi e che finora ci è sfuggito. Un qualcosa che va cercato per il primo omicidio, quello di Betta Dellagro. L'altro, quello di Veronica Nesti, è stato commesso soltanto per confondere le acque".
"E perchè non viceversa?", obiettò Rossi.
"Perchè non ce la vedo proprio - spiegò il questore - una terza persona oltre a Portoghese e alla Caramanno che abbia avuto una relazione tale con la Nesti da indurla, per un motivo o per un altro, ad ucciderla. Pertanto, non ci rimane altro che scavare più a fondo nella vita di Betta Dellagro per individuare il movente che ha portato al suo omicidio".
 
***
 
Giovedì 1 maggio - Ore 10
"Lo avevo messo qui... dove diavolo è andato a finire?".
"Cos'è che non trovi stavolta?", chiese Francese.
"Il mio pacchetto di Camel".
"Meglio così. Tieni, mettiti in bocca questa", e gli lanciò una caramella gommosa a menta.
Arnò l'afferrò al volo e la spedì nella bocca del cestino. "Questa non mi serve a niente, voglio una sigaretta". E continuò a rovistare sul ripiano della scrivania, tra le pratiche, nei cassetti alla ricerca del pacchetto.
"Niente, maledizione! E' sparito, si è dissolto. Ma com'è possibile?".
Avevano fatto colazione con caffè e croissant presi dai distributori: il bar che serviva abitualmente il commissariato era chiuso, e anche gli altri. Primo maggio, festa per tutti i lavoratori tranne i poliziotti, commissari e vice commissari compresi, almeno a Busto Arsizio: c'era un assassino a piede libero da prendere.
Arnò e Francese avevano deciso di fare il punto della situazione, "ma senza una sigaretta io non riesco a concentrarmi", continuò a lamentarsi Arnò, che stava perlustrando il cestino. "Vuoi vedere che per sbaglio le ho buttate qui".
Bussarono alla porta.
"Che cosa c'è?", disse ad alta voce Arnò.
Entrò un poliziotto con un pacchetto di Camel in mano. "Commissario, le ha lasciate sul distributore del caffè".
"Grande Jack! Ti proporrò per una promozione".
Jack stava per Giacomo. Giacomo Borchia, uno dei poliziotti che, avendo fatto festa la domenica di Pasqua, si erano beccati il turno di servizio il primo maggio.
Arnò prese avidamente una Camel dal pacchetto, aprì la finestra e come di consueto andò a sistemarsi con la schiena appoggiata alla base. "Adesso mi manca soltanto un po' di sole".
La giornata era bella e luminosa, ma era ancora troppo presto, il sole sarebbe entrato nell'ufficio del commissario non prima delle 11.
L'imbeccata del questore ("C'è qualcosa davanti ai nostri occhi che finora c'è sfuggito") era il punto di partenza. "Ha detto che dobbiamo scavare più a fondo nella vita di Betta Dellagro, ma se l'abbiamo setacciata da cima a fondo!", obiettò Francese.
"Si, ma evidentemente non l'abbiamo fatto nel modo giusto, altrimenti quel qualcosa che manca sarebbe uscito fuori".
"Quel qualcosa o quel qualcuno?", sottolineò il vice commissario.
"Entrambi. Te l'ho mai detto che sul pacchetto delle Camel c'è un errore?", chiese Arnò.
"Almeno un milione di volte. Telefona alla Camel e facci aggiungere una gobba, così la smetterai di farmi due palle così con questa storia del dromedario. Ma cosa c'entra la gobba in meno sulle Camel con Betta Dellagro?".
Ricordi cosa ha detto la sua ex compagna di stanza, la Grassi?".
"Grossi", corresse Francese.
"Ha detto "A Betta piacevano molto gli uomini", ma noi finora ne abbiamo trovati soltanto due nella vita della Dellagro: Gallo e Gammelli".
"Galli e Gimmelli", corresse nuovamente Francese.
"Si, va beh, fa lo stesso. Insomma, ci manca un uomo, esattamente come la gobba delle Camel. Una mancanza evidente, ma che a prima vista può sfuggire. A noi è sfuggito qualcuno".
"E quel qualcuno potrebbe essere il nostro uomo".
"Esatto. Galli ci ha detto che Betta Dellagro lo ha scaricato proprio la mattina del giorno in cui è stata uccisa, e senza dargli una spiegazione plausibile. Probabilmente la ragazza ha conosciuto un'altra persona e ha deciso di liberarsi di Galli".
"Può darsi - disse Francese - ma non è escluso che già da tempo Betta Dellagro avesse una relazione con un altro".
"Due amanti contemporaneamente? Si, tutto è possibile. Poi la Dellagro si rende conto che la situazione è insostenibile e dà il benservito a Galli. Convochiamolo subito, può darsi che gli venga in mente qualcosa d'importante che l'altra volta non ci ha detto".
 
***
 
Giovedì 1 maggio - Ore 12
Seduto di fronte a lui nell'ufficio di Arnò, Sergio Galli ce la stava mettendo tutta per essere utile alla causa, ma "quello che so ve l'ho già detto, commissario. Sono il primo a desiderare che l'assassino di Betta sia preso, ma non posso inventarmi cose che non so".
"Noi crediamo che Betta avesse una relazione con un altro uomo".
"Contemporaneamente alla mia?".
"Probabilmente sì".
"Ma no, è impossibile, me ne sarei accorto. E poi Betta non è che avesse tutto questo tempo a disposizione: la pallavolo, lo studio... Anche due uomini contemporaneamente? No, commissario, lo escludo".
"E come spiega l'improvvisa rottura con lei?".
"Si era stancata di me, tutto qui. Una decisione in perfetta sintonia col personaggio: le storie durature non le piacevano. O forse si è stufata di una relazione come la nostra piena di sotterfugi: vi ho già detto che dovevamo vederci di nascosto, alla federazione non piace che un arbitro abbia una storia con un'atleta".
"Faccia conto, però, che quest'altra persona esista. Perciò le chiedo: è mai successo che Betta, improvvisamente, le abbia dato buca ad un appuntamento?".
"Mi ci faccia pensare... Sì, commissario, è successo... due giorni prima che Betta fosse uccisa. Dovevamo andare al cinema a Varese, ma all'ultimo momento mi ha telefonato e mi ha detto che durante l'allenamento aveva preso una forte pallonata in faccia e che preferiva tornare a casa".
Arnò prese da un cassetto della scrivania il tabulato delle telefonate di Betta Dellagro: "Dunque, vediamo... martedì 22 aprile... a che ora ha detto che le ha telefonato?".
"Saranno state le 21, minuto più minuto meno".
"Ne è sicuro, signor Galli? Qui alle 21 non risulta alcuna telefonata".
"E' impossibile, commissario, mi faccia vedere". Poi, mentre Arnò gli passava il tabulato... "Che scemo, adesso ricordo! Non mi ha telefonato col suo cellulare, si era scaricato. Si è fatta prestare il telefono da una compagna di squadra".
"Le ha detto di chi era il cellulare?".
"No, ma possiamo saperlo subito. La telefonata è ancora memorizzata sul mio cellulare, io non le cancello mai... Ecco, commissario, il numero è questo: 333.2850470".
Arnò prese dalla scrivania l'elenco delle atlete del Busto Royal Team.
"333.2850... eccolo! E' il numero di Barbara Rocca".
Il commissario chiamò immediatamente: "Pronto, signorina Rocca? Sono il commissario Arnò. Mi scusi se la disturbo, ma avrei bisogno di un'informazione".
"Dica pure, commissario".
"Ricorda se martedì 22 febbraio, durante l'allenamento, Betta Dellagro ha preso una forte pallonata in faccia?".
"Una pallonata? No, commissario, non mi sembra. Se fosse accaduto me lo ricorderei".
"Quella stessa sera, intorno alle 21, Betta le ha chiesto di prestarle il cellulare per fare una telefonata?".
"Si, commissario, ma non ne ha fatta una soltanto, ne ha fatte due".
"Ne è sicura?".
"Certo, commissario. Se vuole posso darle i numeri di telefono".
"Le sarei molto grato".
"S'immagini... Dunque, la prima l'ha fatta alle 21,04 al 339.8761715, la seconda alle 21,07 al 339.5261286".
Il primo numero era quello di Sergio Galli, il secondo quello dell'assassino?
FINE DELLA TREDICESIMA PUNTATA
Mario Corcione
(la quattordicesima ed ultima puntata sarà pubblicata martedì 17 aprile)
 
***
 
LA DODICESIMA PUNTATA
 
Mercoledì 30 aprile - Ore 11
Interrogatorio di Rachele Caramanno da parte del procuratore Paolo Rossi alla presenza del commissario Arnò, del vice commissario Francese e del legale della Caramanno, Giulio Ratti.
 
Avvocato Ratti: "E' mio dovere informarla, signor procuratore, che la mia cliente non risponderà ad alcuna domanda".
Procuratore Rossi: "Sinceramente questa linea di condotta mi sorprende. Così facendo lei peggiora la posizione della signorina Caramanno. Le ricordo che rilevazioni effettuate sul cellulare della sua cliente non lasciano alcun dubbio sulla sua colpevolezza".
Avvocato Ratti: "Sarà il tribunale a deciderlo, signor procuratore. Il fatto che la sera del delitto la mia cliente fosse nell'abitazione di Alessandro Portoghese non vuol dire che l'omicidio l'abbia commesso lei".
Procuratore Rossi: "Anche l'ora coincide, avvocato. Le ripeto, con questo suo atteggiamento lei danneggia la sua cliente: verrà incriminata per omicidio premeditato e...".
"Io non ero andata lì per ucciderlo", intervenne Rachele Caramanno. "Lasci perdere, avvocato, preferisco rispondere alle domande e chiarire la mia posizione, anche se per me ormai una condanna vale l'altra. Con la morte di Veronica anche la mia vita è finita".
Procuratore Rossi: "Ci racconti com'è andata".
Rachele Caramanno: "Da un paio di mesi Veronica non era più lei. Era cambiata. Sempre nervosa, quasi ostile nei miei confronti. Ho provato a chiederle spiegazioni, ma ogni volta liquidava l'argomento dicendomi "Le cose nella squadra non vanno più bene, l'allenatore mi tiene sempre in panchina, le mie compagne non mi aiutano...". Scuse alle quali non ho mai creduto, era chiaro che c'era dell'altro. E' così una ventina di giorni fa ho deciso di pedinarla: mi aveva detto che aveva una cena con la squadra, invece è andata a casa di Alessandro Portoghese e c'è rimasta fino all'1 di notte. Quando è rientrata, non le ho detto nulla, avrei peggiorato la situazione. MI sono detta: forse è soltanto una sbandata, del resto era la prima volta che aveva una relazione con un uomo. Poi, quando è stata uccisa, ho pensato subito che era stato Portoghese e domenica sono andata a casa sua perchè volevo sapere. Mi sono presentata senza preavviso, e comunque il suo numero di cellulare non l'avevo. Ho bussato al citofono, gli ho detto chi ero e lui mi ha fatta salire. Era in pantofole, mi ha fatto accomodare in cucina, all'inizio è stato molto gentile. Poi, però, quando ho cominciato a fare domande il suo atteggiamento è completamente cambiato".
Procuratore Rossi: "Cosa gli ha chiesto?".
Rachele Caramanno: "Volevo sapere da lui dov'era la sera in cui è stata uccisa Veronica. Quando glie l'ho chiesto, ha cominciato ad alterarsi, mi ha dato della pazza e mi ha detto bruscamente di andare via. Io gli ho risposto che da lì non mi sarei mossa fino a quando non mi avesse detto la verità. La discussione è diventata sempre più accesa, ho cercato di colpirlo, ma era molto forte, mi ha preso le mani e con cattiveria me le ha piegate fino a farmi inginocchiare per il dolore. Poi mi ha scaraventato per terra con violenza dicendo "E adesso vattene, lesbica di merda!". Non ci ho visto più, mi sono rialzata, ho preso il pestacarne che era sul ripiano della cucina e, mentre era girato di spalle, l'ho colpito con tutta la mia forza. Ho capito subito che era morto".
Procuratore Rossi: "Dopo cosa ha fatto?".
Rachele Caramanno: "Ero in preda al panico, sono scappata di corsa, ma mentre stavo per uscire dall'appartamento mi sono ricordata che non avevo cancellato le mie impronte sul pestacarne. Sono tornata in cucina, ho preso uno strofinaccio e ho pulito il manico. Ho fatto mente locale per ricordare se avevo toccato qualcos'altro e piano piano mi sono calmata. Poi, guardando il cadavere, mi è venuto in mente di disegnare quella O sul polso per sviare le indagini e ho cercato qualcosa di acuminato in cucina ripulendo attentamente tutto quello che toccavo. Alla fine ho trovato un paio di forbici. Non so dove ho trovato la freddezza per farlo, ma l'ho fatto".
Procuratore Rossi: "Perchè era convinta che fosse stato Portoghese ad ammazzare Veronica Nesti?".
Rachele Caramanno: "E chi vuole che sia stato, signor procuratore? Era il segretario della squadra, aveva una relazione con Veronica e sicuramente ne ha avuta una anche con l'altra ragazza assassinata".
Procuratore Rossi: "E' una certezza, la sua, o soltanto una supposizione?".
Rachele Caramanno: "Solo una supposizione. Non ho nulla in possesso che mi dia certezze, ma è stato lui ad uccidere le due ragazze, ci metto la mano sul fuoco. Era un violento, un maniaco sessuale, passava da una ragazza all'altra come se stesse cambiando un paio di calzini".
Procuratore Rossi: "E lei come fa a saperlo?".
Rachele Caramanno: "Quando ho scoperto la sua relazione con Veronica, ho preso informazioni su di lui e una sera mi sono appostata sotto casa sua. L'ho visto rientrare con una donna, una bionda sulla quarantina, molto bella, era vestita da hostess. Evidentemente quel maiale non se la faceva soltanto con le atlete".
Procuratore Rossi: "Ricorda la compagnia aerea della donna?".
Rachele Caramanno: "Non ci ho fatto caso, ma ho le foto, sono sul mio cellulare: le ho fatte per dimostrare a Veronica chi era veramente Alessandro Portoghese. Però non gliele ho mai mostrate: ho pensato che avrei fatto peggio, che l'avrei allontanata ancor più da me".
 
***
 
Mercoledì 30 aprile - Ore 16,30
Le foto scattate da Rachele Caramanno non facevano giustizia a Giorgia Berardo, la bionda hostess che aveva avuto una relazione con Alessandro Portoghese. Quando entrò in commissariato, calamitò immediatamente l'attenzione di tutti i poliziotti presenti. Giuseppe Francese, che voleva prendere del cioccolato al latte dal distributore automatico, sbagliò pulsante e selezionò una barretta fondente al 90%. Al vice commissario il cioccolato amaro faceva schifo.
"Mi ha messo sottosopra il commissariato", disse quella sera Arnò a Silvia.
"E che ti aspettavi da quel branco di acefali dei tuoi sottoposti? Basta che vedono una donna passabile e accendono la sirena".
"Quella non era passabile, te l'assicuro", ribattè Arnò seduto al tavolo della cucina mentre Silvia stava guarnendo con la maionese e le olive bianche il polpettone di tonno: nella scala dei gusti gastronomici di Arnò occupava almeno uno dei primi dieci posti.
"Bada a quello che dici, commissario, o il polpettone te lo scaravento in testa. Piuttosto, invece di sparare cazzate, dimmi cosa ti ha detto quella donna".
 
"Lei deve scusarmi se non mi sono presentata prima in commissariato", si giustificò Giorgia Berardo con Arnò. "Ho saputo della morte di Alessandro soltanto lunedì sera ed ero a Barcellona. E poi, sinceramente, non pensavo che la mia testimonianza potesse essere d'aiuto alla polizia: con Alessandro ci vedevamo saltuariamente, nulla di serio o di particolarmente importante. Nè per lui nè per me".
"Quando e come lo ha conosciuto?".
"E' successo l'anno scorso, a casa di amici. Quella sera stessa mi ha invitato a cena, gli ho detto subito sì, era un bel ragazzo, intelligente e divertente: non se ne incontrano molti di questi tempi".
"Lo definirebbe una persona violenta?".
"Chi, Alessandro?! Ma no, commissario, era una delle persone più dolci che abbia conosciuto in vita mia. Ma perchè mi ha fatto questa domanda?".
Arnò non rispose e chiese ancora: "Gli ha mai visto compiere qualche gesto diciamo al di là delle righe? Lo ha mai visto litigare con qualcuno?".
"Si, è successo pochi giorni fa in discoteca. Ha preso a pugni un uomo mezzo ubriaco, si era avvicinato a me mentre Alessandro era andato a prendere un drink. Quando è tornato, l'uomo mi stava insultando perchè gli avevo detto di andare via, Alessandro ha cercato di allontanarlo con le buone, ma l'uomo mi ha chiamato puttana e lui lo ha colpito. Se fosse stato al suo posto, lo avrebbe fatto anche lei, commissario".
"Ricorda con esattezza quando è successo?".
"Mi faccia pensare... Quel giorno ero stata a Vienna, quindi dev'essere per forza un giovedì. Giovedì scorso, commissario".
Giovedì 24 aprile, il giorno in cui era stata uccisa Betta Dellagro.
"Fino a che ora siete rimasi in discoteca?", chiese Arnò.
"Saranno state più o meno le 23, commissario. Dopo quello spiacevole incidente abbiamo lasciato immediatamente il locale".
"E dove siete andati?".
"A casa di Alessandro. Ci siamo rimasti tutta la notte".
 
***
 
L'UNDICESIMA PUNTATA
Mancini si, assassini no. Fabrizio Razzi, Ugo Gorrino e Antonella Rucci, rispettivamente preparatore atletico, vice allenatore e segretaria amministrativa del Busto Royal Team, nulla avevano a che vedere con l'omicidio di Alessandro Portoghese. Alibi inattaccabili. Chi aveva commesso il terzo delitto era mancino, ma non faceva parte dell'organico della squadra: certezza che Giuseppe Francese ottenne alle 19,25, giusto in tempo per fare un salto a casa, una doccia, risalire in macchina e raggiungere l'ispettore della Scientifica Eliana Croce che l'attendeva davanti al "Caprice", uno del 42 ristoranti italiani a due stelle.
Il vice commissario era a Busto da soli cinque giorni, durante i quali si era imbattuto nei seguenti eventi in ordine cronologico:
 
a) omicidio della pallavolista Betta Dellagro (avvenuto tuttavia mentre Francese era ancora a Napoli)
b) incidente automobilistico di un pullmino con a bordo cinque suore
c) incontro in con una vecchia pazza convinta che il vice commissario fosse un extraterrestre
d) omicidio della pallavolista Veronica Nesti
e) sequestro di due poliziotti (lui ed Arnò)
f) omicidio di Alessandro Portoghese, segretario del Busto Royal Team
 
Era in possesso, dunque, di tali argomenti da intrattenere una persona per almeno dieci cene di fila, ma quella sera per buoni dieci minuti Francese non disse una parola. Non per timidezza, tratto della personalità che  non gli apparteneva, nè per la preoccupazione di pagare un conto che - ne era certo - sarebbe stato particolarmente salato ("Cazzo, proprio nel miglior ristorante di Busto mi dovevi portare?!"), nè tantomeno perchè era la prima volta che andava a cena con una donna che non fosse sua moglie: tutti gli incontri extra-coniugali con l'istruttrice di pilates che aveva mandato a monte il suo matrimonio erano avvenuti nella camera da letto della donna, assolutamente restia a frequentarlo lontano da quelle mura ("Fuori da qui, Giuseppe, non voglio vederti nemmeno in fotografia").
Il mutismo di Francese, o per meglio dire il suo imbambolamento, era stato provocato da un paio di lenti a contatto: Eliana Croce aveva deciso per l'occasione di liberarsi degli occhiali che aveva portato per oltre vent'anni e l'effetto sul vice commissario era stato abbagliante: "Se non spegni quei fari, questa sera difficilmente riuscirò a guardare altro".
I grandi occhi color nocciola di Eliana Croce, tuttavia, non erano l'unico motivo di attrazione: i 168 centimetri del 38enne ispettore della scientifica, che Francese non vedeva l'ora di ispezionare, erano inguainati in un grazioso vestito nero con le spalline che lasciava intravedere altre doti particolarmente interessanti.
Francese, che di Busto Arsizio conosceva praticamente soltanto il commissariato, il bilocale che aveva preso in affitto e il luogo dei delitti che si erano succeduti in quei primi cinque giorni in Lombardia, si era affidato ad Eliana Croce non solo per la scelta del locale, cosa di cui si era immediatamente pentito, ma anche del menu.
"Mi spiace per te - aveva esordito Eliana - ma stasera spaghetti a vongole e fritture del golfo te li puoi scordare. Tuttavia anche qui abbiamo tante cose buone che, ne sono certa, non ti faranno rimpiangere la tua Napoli. E ordinò per entrambi risotto della Giobia, per secondo bruscitt - piatto di carne della più antica tradizione bustocca - e per dessert i cupeti, dolce a base di mandorle la cui scelta suscitò nel maitre una maliziosa risatina che non sfuggì a Francese. "Perchè si è messo a ridere?", chiese il vice commissario. "Boh, forse gli sei simpatico", rispose Eliana diventando rossa quasi come il Capriano del Colle che Francese versò abbondantemente nel suo bicchiere.
La spiegazione gliela avrebbe data Arnò la mattina dopo in ufficio accompagnandola con un "Ah" particolarmente esclamativo: "Devi sapere l'8 dicembre, il giorno dell'Immacolata, qui a Busto c'è una particolare tradizione: i giovani innamorati si presentano a casa della morosa portando i cupeti, un gesto che ha il valore di una promessa di matrimonio".
In casa di Eliana Croce, un grazioso appartamento al centro di Busto, Francese mise piede quella sera stessa, ma soltanto dalle 23 a mezzanotte. "Preferisco essere subito chiara con te, Giuseppe: tu mi piaci molto e spero proprio che tra noi possa nascere qualcosa d'importante, ma stasera avrai da me soltanto un bacio (e onorò subito la sua promessa) e un caffè che vado a fare immediatamente. Tu intanto hai il permesso d'ispezionare casa: potrai farti un'idea più precisa di me".
Francese, invece, si accomodò subito sul divano. Tutto quello che c'era da sapere su Eliana Croce lo aveva già appreso durante la cena: "Sono stata sposata per due anni, lui se n'è andato quattro anni fa e non mi ha lasciato nè figli nè momenti che vale la pena ricordare. Diciamo che era l'uomo sbagliato. Sono una donna molto semplice e tranquilla, mi piace molto il mio lavoro e utilizzo il poco tempo libero un po' come tutti: leggendo un bel libro o guardando un film. Se hai intenzione di portarmi al cinema, ti dico subito che i polizieschi non m'interessano".
"Neanche a me", aveva risposto Francese mentendo. Il vice commissario difficilmente perdeva in televisione qualcosa che contenesse un'arma, un inseguimento, una sparatoria. Quando sorseggio il caffè di Eliana, parente molto alla lontana di quelli che era abituato a bere a Napoli, disse un'altra bugia ("Ottimo veramente") e poi, visto che almeno per quella sera non avrebbe potuto avere un incontro ravvicinato con la donna, s'intrattenne con l'ispettore della scientifica: "Che idea ti sei fatta di questi omicidi?".
"L'ipotesi del serial killer sinceramente mi fa sorridere. Le lettere lasciate sul polso delle persone uccise sono, a mio avviso, soltanto una messinscena di chi vuole nascondere il vero motivo dei delitti e, tenendo conto degli indizi che avete raccolto finora, sono dell'idea che le tre vittime conoscevano l'assassino".
"Però - obiettò Francese - chi ha ucciso Alessandro Portoghese non fa parte della squadra: questo è fuori discussione".
"D'accordo, ma secondo me i tre delitti - pur non essendo stati commessi dalla stessa persona - sono strettamente collegati tra loro. Avete proprio la certezza assoluta che Alessandro Portoghese non abbia avuto con Betta Dellagro e Veronica Nesti rapporti che non fossero esclusivamente di lavoro?".
"Assolutamente si. Alla Nesti, del resto, non piacevano gli uomini: aveva una relazione con una fotomodella, una certa Rachele Caramanno".
"E questa Caramanno - chiese Eliana - per caso è mancina?".
 

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