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Le prime quattro puntate

  Pubblicato il 04 Set 2019  23:15
Il commissario Arcangelo Noce era fuori dalla grazia di Dio. 
“Ma ti rendi conto? Incinta! Tra gravidanza, maternità e permessi vari, questa qui come minimo si fa sei mesi di vacanza a spese dello Stato. Dico sei mesi!”.
Elio ascoltava lo sfogo del commissario con la moka in mano.
“E tu che cazzo aspetti a versare il caffè?”.
Aspettava che Noce si calmasse. Più di una volta, in preda ad un’incazzatura, il commissario aveva fatto rovesciare la macchinetta sul tavolo n. 8, quello che invariabilmente occupava tutti i giorni, a pranzo e a cena, da quando per la prima volta, e cioè nel settembre del 2015, aveva messo piede nella trattoria di via Lepanto che portava il nome del suo proprietario.
L’insegna “Da Elio” nel corso di quei quattro anni era cambiata più volte. Adesso era in plexiglas, in corsivo rosso. Non era mutato di una virgola, invece, il legame tra il commissario Noce ed Elio, che andava ben oltre il rapporto ristoratore-cliente.
Elio Parlato era una sorta di confessore: ogni sera, dopo che tutti gli avventori della trattoria avevano lasciato il locale, Noce fregandosene del segreto professionale rendeva edotto Elio degli sviluppi delle indagini in corso nel commissariato di Fuorigrotta, di cui era il responsabile e dove tutti, ovviamente non in sua presenza, lo chiamavano la iena: un appellativo che Noce si era guadagnato meritatamente con anni di maltrattamenti nei confronti dei suoi subalterni.
“Incinta! E quando me lo va a dire? Stasera alle 20! Mi ha tolto l’appetito”.
Elio sorrise ripensando a quello che la iena si era fatto fuori quella sera: impepata di cozze, spaghetti ai frutti di mare, frittura di calamari e gamberi, doppia porzione di tiramisù e mezzo cestino di frutta secca. Noce poteva permetterselo: a differenza del 44enne Elio, che portava avanti  e indietro per la trattoria 104 chili distribuiti in un metro e 82, il 55enne commissario era sottile come un'acciuga. Una magrezza che, abbinata agli occhi scuri, agli scarsi capelli neri tirati all’indietro, ai lineamenti taglienti e alla monotonia dell’abbigliamento (giacca e cravatta anche in estate, grigio il colore più allegro) ne facevamo un uomo sgradevole anche come aspetto. Diceva di lui il questore: “Quel Noce è tetro, non ci uscirei insieme neppure per andare a prendere un caffè. Ma quanto cazzo è bravo! Non ricordo caso che non abbia risolto”.
Ma per il “caso Dell’Angelo” soluzione non c’era.
“Incinta. E non posso farci niente”, continuò a lamentarsi Noce dopo essere passato dal caffè all’amaro.
La 33enne Donatella Dell’Angelo era il suo vice. A ingravidarla era stato il marito, Walter, proprietario di un salone di bellezza a Fuorigrotta. “Un brav’uomo, ma completamente orbo – diceva di lui la iena -: con tutte le belle donne che saranno passate dal suo negozio, chi ti va a sposare? Il poliziotto femmina più brutto d’Italia”.
Un’esagerazione. Ma non lontanissima dal vero. Altezza media, capelli castani corti, occhi acquosi, naso prominente, doppio mento e fisico a barilotto, Donatella stava all’aggettivo avvenente come Noce al sostantivo altruista. Tuttavia non era certo l’aspetto del suo vice il motivo del malumore del commissario, anche perché Noce era dichiaratamente gay. “Sarà brutta come la morte, ma mai ho avuto collaboratori in gamba come lei”, era solito dire il commissario quando gli chiedevano di Donatella.
“Per cui non mi rassegno all’idea di perderla per sei mesi. Chissà quale mentecatto mi manderanno al suo posto”, disse ad Elio prima di mandare giù l’ultimo sorso di amaro.
“Se ne faccia una ragione, commissario”, provò a consolarlo il ristoratore, ben conscio tuttavia delle scarse possibilità di riuscita del suo tentativo. Se c’era una cosa che Arcangelo Noce detestava erano i cambiamenti, di qualsiasi tipo fossero. Fu un trauma nel 2015, infatti, il trasferimento a Napoli da San Benedetto del Tronto, la sua città natale, dove per oltre dieci anni aveva diretto il commissariato cittadino. Non lo fu, ovviamente, per i suoi subalterni marchigiani, ben felici di liberarsi finalmente della iena, le cui referenze caratteriali indussero i suoi nuovi collaboratori ad accoglierlo, nel suo primo giorno di lavoro al commissariato di Fuorigrotta, con un “Torna da dove sei venuto” scritto sulla porta di uno dei cessi. Messaggio al quale, alla data 30 settembre 2019, ne avevano fatto seguito altri 67 secondo la conta che Dario Del Fuoco, il centralista del commissariato, portava avanti meticolosamente. L’ultimo della serie, scritto con un pennarello nero sulla parete dei bagni degli uomini, recitava: “Non è per paura di te che non scriviamo mai sulle pareti del tuo ufficio. Lo facciamo qui nei cessi perché è il posto più adatto a te, grandissimo pezzo di merda”.
 
***
 
Mercoledì 2 ottobre - Ore 9,20
Pur condividendo l’opinione comune, Donatella Dell’Angelo era l’unico poliziotto del commissariato di Fuorigrotta a non detestare la iena. Non ci riusciva proprio nonostante tutte le angherie che quotidianamente era costretta a subire. L’odio, pur latente, era tenuto a bada dalla grande ammirazione sul piano professionale nei confronti di Noce. “Sarà pure un pezzo di merda come dite voi, ma non so che cosa darei per avere soltanto il 10% della sua abilità investigativa”, stava dicendo a due colleghi mentre Del Fuoco, dal centralino, le faceva ampiamente cenno con la mano destra per richiamare la sua attenzione. Lei conosceva benissimo quel tipo di segnale, e anche l’espressione sul volto del centralinista non diceva nulla di buono mentre Donatella si avvicinava alla sua garitta.
“Hanno ammazzato un tizio”.
Del Fuoco passò a Donatella il bigliettino sul quale aveva scritto l’indirizzo.
“Come al solito non ci capisco un cazzo con i tuoi geroglifici. Che ci sta scritto?”, chiese a Del Fuoco.
“Ma se è chiarissimo! Viale Kennedy  226, concessionaria Fiat Li Rosi”.
“E questa sarebbe una K secondo te? E questo un 6? Lasciamo perdere. Avvisa il commissario Noce, digli che lo aspetto in macchina”.
 
***
 
“Succede soltanto in questa città del cazzo!”, imprecò la iena. “Ammazzano uno a bastonate nel suo negozio e per tutta la notte nessuno se ne accorge. Che cazzo facevano i nostri uomini di pattuglia, dormivano? Come cazzo hanno fatto a non vedere la concessionaria aperta?”.
Al terzo “cazzo” intervenne Donatella: “Forse è il caso di controllare se manca qualche macchina. L’assassino potrebbe averla portata via”.
“Anche qualche passante, se è per questo. Potevano svuotare l’intera concessionaria e nessuno se ne sarebbe accorto”, esclamò la iena mentre attendeva che medico legale e scientifica terminassero il loro lavoro.
Appoggiato a una "Tipo" color pistacchio, Noce fece cenno di avvicinarsi ad un giovanotto alto, biondo e dalla carnagione chiara, ancor più pallida per lo spavento chiaramente visibile sul suo volto.
“E’ stato lei ad avvertire il commissariato?”.
“Si”, rispose con un filo di voce.
“Nome e cognome, giovanotto. E parli più forte che non sento una mazza di quello che dice”.
“Mario Cuomo. Sono l’impiegato che si occupa delle vendite”.
“Tutto qui? Forza giovanotto, si svegli! Ci dica tutto quello che ha visto e che sa”.
“Stamattina sono arrivato alle 9 per aprire la concessionaria e l’ho trovata aperta. Ho pensato ad un furto, ma tutte le macchine c'erano e…”.
“E cosa, giovanotto? Si vuole sbrigare? Qui non abbiamo tempo da perdere”, lo cazziò nuovamente la iena.
“Ho pensato subito che doveva essere successo qualcosa al signor Li Rosi. Mi sono precipitato nel suo ufficio e ho visto il cadavere”.
“Era lui che chiudeva la concessionaria tutte le sere?”.
“Si, alle 20 in punto. Io vado via alle 19,30. Lui rimaneva un’altra mezzoretta per sistemare le ultime cose”.
“Quindi, da quello che ho potuto capire, il suo datore di lavoro non può che essere stato ucciso dalle 19,30 alle 20, perché prima c’era lei e poi la concessionaria sarebbe stata chiusa. A meno che Li Rosi non si sia attardato in negozio, ma lei ci ha detto che non succedeva mai. Giusto?”.
“Si, perché tutte le sere alle 20,30 lo attendevano al Circolo Nautico Poseidon per il burraco”.
“Dov'è questo Circolo?”, chiese Noce a Donatella che per tutta la durata dell’interrogatorio non aveva aperto bocca. Guai se l’avesse fatto, la iena se la sarebbe mangiata viva.
“Sul lungomare di Bagnoli, commissario”.
“Quindi una mezzoretta era più che sufficiente per raggiungere in macchina il Circolo. E non cenava questo Li Rosi?”, chiese il commissario a Cuomo.
“Mangiava al Circolo. Durante il gioco si faceva portare qualcosa dal bar”.
“Capisco”, annuì la iena, ma in realtà non riusciva a comprendere come un adulto potesse rinunciare ad un pasto completo: lui, tranne casi eccezionali, non lo faceva mai. E giocare a carte non rientrava nell’elenco delle eccezioni, Noce considerava il gioco un’inutile perdita di tempo e un aggravio per il suo lavoro: più volte nella sua carriera si era dovuto occupare di gente che si era tolta la vita per aver perso tutto a carte o ai cavalli.
“Come andava la concessionaria?”, chiese a Cuomo.
“In che senso?”, rispose il giovanotto.
“Faceva soldi a palate il suo datore di lavoro oppure affogava nei debiti?”, chiese il commissario visibilmente infastidito dalla scarsa prontezza del giovanotto.
“Né l’una cosa né l’altra. Le vendite erano discrete, ma non buone come una volta. La crisi si è fatta sentire molto nel nostro settore”.
“Che le risulti, Li Rosi aveva nemici? Andava d’accordo con tutti?”.
Aveva un carattere di merda, un po’ come il suo”, avrebbe voluto dire al commissario. Invece rispose così: “A dire il vero non è che fosse un mostro di simpatia. Però qui in concessionaria non l’ho mai visto litigare con qualcuno”.
“C’è solo lei come impiegato, signor Cuomo?”.
“Attualmente sì. Come le ho detto, la crisi ha pesato molto sul settore e sei mesi fa Li Rosi ha dovuto licenziare la segretaria”.
“E la donna come l’ha presa?”.
C’è rimasta di merda, anche perché Li Rosi se la scopava”. Questa la risposta che Cuomo avrebbe voluto dare, e invece optò per una versione molto più diplomatica: “Non l’ha presa molto bene, gli ha fatto causa di lavoro per contributi non versati”.
“E lei? Lei è a posto, signor Cuomo, da questo punto di vista?”.
“Si, ho sempre ricevuto tutto regolarmente, stipendio e contributi”.
“Chi si occuperà adesso della concessionaria?”.
“Non lo so, commissario. Li Rosi non era sposato e non aveva figli. Ha soltanto un fratello, ma vive al nord, ha un ristorante a Genova. L’ho già avvertito, ha detto che sarà qui in serata”.
“Donne?”.
“Se la spassava, commissario. Non credo che Li Rosi abbia mai avuto un legame che sia durato più di un paio di settimane”.
“Se la faceva anche con donne sposate?”.
“Non lo so, commissario. Dovrebbe chiedere a quelli del Circolo: sicuramente ne sanno più di me”.
“Un’ultima domanda Cuomo: Li Rosi pagava tangenti alla camorra?”.
“Che mi risulti, no. Da quando ci sono io, nessuno si è mai presentato qui in concessionaria per estorcere danaro”.
 
***
 
“Hai segnato tutto, Donatella?”.
“Si, commissario. Edoardo Li Rosi, 43 anni, scapolo, domiciliato in via Posillipo 47, titolare di una concessionaria Fiat, donnaiolo, un fratello ristoratore che vive a Genova. Per il momento è tutto”.
“E che idea ti sei fatta?”.
“Ho l’impressione che questo Li Rosi fosse uno con pochi scrupoli e molti nemici. Non mi sorprende che abbia fatto una brutta fine. Ah, ecco Barbato”.
Il  rotondo medico legale (111 chili per 166 centimetri) raggiunse con velocità sorprendente per la sua mole la coppia d’investigatori accanto alla Tipo. “Ma chi se la compra una macchina con questo colore? Io il pistacchio non lo uso nemmeno in cucina”.
L’abilità ai fornelli di Barbato, celeberrima in tutto l’ambiente della polizia napoletana, non aveva mai suscitato particolare interesse nel commissario Noce. “Lasci perdere le sue considerazioni gastronomiche, dottore, e mi parli del cadavere”.
“Raramente nella mia carriera ho visto un delitto così feroce. Dopo avergli spaccato il cranio, l’assassino ha continuato ad infierire sul cadavere con una furia disumana. Non posso dirle ancora con precisione il numero dei colpi inferti, ma di sicuro superano la decina. Quel tizio è stato massacrato”.
“L’arma del delitto?”.
“Su questo non ci sono dubbi: una mazza da baseball che era appesa alla parete dietro la scrivania. L’assassino l’ha lasciata accanto al cadavere, intrisa di sangue”.
“Questo capolavoro lo ha fatto una sola persona?”.
“E’ una domanda che deve rivolgere alla scientifica per avere una risposta precisa. E con questo la saluto, commissario. Ci sentiamo dopo l’autopsia”.
Suonò il cellulare di Donatella. Per un paio di minuti il vice commissario ascoltò senza parlare, annuendo continuamente.
“Chi era?”, chiese Noce.
“Li Rosi cinque anni fa ha ammazzato un rapinatore qui nella concessionaria. Assolto per legittima difesa”.
“Adesso quell'idiota me lo mangio vivo”, esclamò la iena. “Cuomo, torni qui un attimo, per favore…”.
 
“Perché non mi ha detto che Li Rosi nel 2014 ha ammazzato un uomo?”.
“Ah, si, è vero… me n’ero completamente dimenticato. Mi scusi, commissario, è che non ci sto troppo con la testa in questo momento”, rispose Mario Cuomo farfugliando.
“Lasci perdere le scuse e mi dica come è andata”.
“Io all’epoca non c’ero, commissario, ne ho sentito parlare. La vede quella?”, e indicò una macchina d’epoca azzurra. “E’ una Mercedes Benz 300 SL, vale oltre 200 mila euro. Una sera, in orario di chiusura, si sono presentati due malviventi armati e hanno ordinato a Li Rosi di dargli le chiavi della Mercedes. Lui, invece, dal cassetto della scrivania ha preso una pistola, ne ha ucciso uno e ha quasi ammazzato l’altro”.
Noce rimase sbalordito. “Possibile che una macchina d’epoca possa valere tanto?”.
“Anche di più commissario. Ce ne sono alcune che valgono mezzo milione di euro”.
“E i malviventi come avevano intenzione di portarsela via?”.
“Mettendosi al volante, commissario. La Mercedes è tuttora perfettamente funzionante. Li Rosi la usava per rimorchiare al Circolo. Diceva che le donne non resistevano alla tentazione di fare un giro. Evidentemente i due malviventi l’hanno visto in circolazione con la Mercedes e hanno deciso di fare il colpo. Altro non so dirle”.
 
***
 
Ad occuparsi dell’omicidio di Giuseppe Milano, il pregiudicato ucciso nell’aprile 2014 da Li Rosi, era stato il predecessore di Noce: Gianni Arnò, oggi responsabile del commissariato di Busto Arsizio. La iena, per saperne di più, avrebbe potuto rivolgersi al procuratore Antonio Ruocco, che ebbe la direzione del caso, ma Noce lo considerava un coglione. Fece, perciò, un colpo di telefono ad Arnò, che di Ruocco aveva la medesima stima: “Per colpa sua Li Rosi fu assolto, ma noi dimostrammo chiaramente la sua colpevolezza. Una macchina, per quando costosa sia, non può valere la vita di un uomo. E comunque Li Rosi fece fuoco subito dopo aver estratto l’arma dal cassetto della scrivania del suo ufficio: ci fu anche la testimonianza dell’altro rapinatore, tuttora in galera. Si trattava chiaramente di omicidio volontario. Volendo proprio chiudere un occhio, Li Rosi doveva essere condannato almeno per eccesso colposo di legittima difesa. E invece… Stai pensando che è stato ucciso per vendetta?”, chiese Arnò.
“E’ una delle ipotesi. Tu che idea ti sei fatto di Li Rosi?”.
“Di solito, quando un caso è risolto, tendo a rimuoverlo completamente. Quello no, mi è rimasto in testa, fu troppo forte l’incazzatura. Quanto a Li Rosi, mi fece subito una pessima impressione: viscido, arrogante, pieno di sé. Gli avrei messo volentieri le mani addosso”.
 
***
 
Addosso a Li Rosi, che al momento dell’uccisione indossava un completo beige di cotone, fu trovato il cellulare, miracolosamente uscito indenne dal massacro. L’ultima telefonata in uscita risaliva alle 18.56. Noce chiamò il numero, rispose una voce d’uomo: “E allora come è andata ieri sera, te la sei scopata?”.
Quaranta minuti dopo l’uomo era di fronte a Noce nell’ufficio del commissariato di Fuorigrotta: 62 anni, altezza media, capelli color ebano visibilmente tinti, viso butterato, pancia prominente. La iena, che a pelle andava per simpatie e antipatie, lo collocò immediatamente nella lista meno gradita.
“E allora, signor Rossi, chi è che doveva scoparsi ieri sera Edoardo Li Rosi?”.
“Non lo so, commissario, non me l’ha detto”, rispose Francesco Rossi visibilmente imbarazzato. “Ieri sera verso le 19 Li Rosi mi ha chiamato per avvertirmi che non sarebbe venuto al Circolo a giocare a burraco. Al momento m’arrabbiai, noi giochiamo alle 20.30, trovare un quarto che lo sostituisse non era cosa facile. Lui si giustificò dicendo che si trattava di “cause di forza maggiore”, e io capii subito”, sottolineò Rossi fermandosi volutamente nel racconto con una pausa ad effetto.
L’unico effetto fu quello di far incazzare la iena.
“Faccia capire anche me, signor Rossi”.
“Quel “cause di forza maggiore” lo disse ridendo. Era evidente che si trattava di una donna, di una nuova conquista".
“Le ha detto il nome?”.
“No, commissario. Vede, pur avendo un carattere da spaccone, pur vantandosi continuamente delle sue conquiste, Li Rosi non entrava mai nei dettagli. Non per riservatezza, per prudenza: molte delle donne che frequentava erano sposate”.
“E lei come fa a saperlo se Li Rosi non ne parlava mai?”.
“Diceva che preferiva le donne sposate perché c’era più gusto”.
“Che lei sappia, è mai successo che qualcuno dei mariti abbia scoperto la relazione?”.
“Si, commissario”, e accompagnò la rivelazione con un sorrisetto che diede tremendamente sui nervi alla iena. "Si chiama Giuseppe D’Amico, era un socio del Circolo Poseidon. Non le so dire come l’abbia scoperto, fatto sta che si è dimesso”.
“Quando è successo?”.
“Un paio di settimane fa”.
“Le dimissioni sono state precedute da un litigio? Questo D’Amico è venuto alle mani con Li Rosi?”.
“No, ma c’è mancato poco. D’Amico si è avvicinato a Li Rosi al bar del Circolo, ha ordinato del vino bianco e glielo ha tirato in faccia. Stava per nascere una colluttazione ma altri soci presenti al bar sono intervenuti prontamente”.
“Come fa a sapere che il motivo scatenante era la moglie di D’Amico?”.
“Beh, commissario, queste cose nei Circoli si sanno. Nonostante la riservatezza di Li Rosi, non è sfuggito il suo interessamento nei confronti della donna nelle varie serate mondane al Circolo. E poi Li Rosi non era il solo che ha avuto una relazione con la moglie di D’Amico: lei ha sempre avuto un debole per i pallanuotisti, si dice che almeno un paio dei nostri giocatori ci abbiano provato con successo”.
“C’è qualcun altro, tra i soci, che poteva avere motivo di serbare rancore nei confronti di Li Rosi?”.
“Al punto da ucciderlo?”.
Noce annuì con un cenno della testa.
“Ma no, commissario. Vede, all’interno dei Circoli le corna sono all’ordine del giorno, se mi passa l’espressione. Se tutti i soci cornuti fossero passati a vie di fatto, ci sarebbe stata un’ecatombe”.
“Lei cosa fa per vivere, signor Rossi?”.
“Ho un negozio di articoli sportivi alla Riviera di Chiaia”.
“Li Rosi è stato ucciso con una mazza da baseball. Proviene dal suo negozio?”.
“Si, e non solo quella. Li Rosi aveva grande passione per tutte le discipline sportive, soprattutto per gli sport dell’acqua. Da giovane ha fatto pallanuoto, ha vinto anche un paio di scudetti con la nostra squadra ai tempi d’oro del Circolo. Ma perché mi ha chiesto della mazza da baseball?”.
“L’assassino non ha portato con sé un’arma forse perché sapeva che nell’ufficio di Li Rosi avrebbe trovato la mazza da baseball. Che lei sappia, erano molti i soci del circolo clienti della concessionaria?”.
“Almeno un centinaio, commissario. Li Donni praticava sconti particolari per i soci del Circolo. Ma erano soprattutto le mogli dei soci che acquistavano da lui”.
 
***
 
A Rossi fu mostrato il tabulato delle telefonate in entrata e in uscita del cellulare di Li Rosi e del telefono della concessionaria. Fu anche grazie al suo aiuto che la Polizia individuò i soci del Circolo Poseidon che negli ultimi giorni avevano telefonato o erano stati chiamati dalla vittima. Il tabulato confermò l’esistenza della relazione tra Rosi e la moglie di D’Amico, Alessandra Barile. Numerose le telefonate che i due si erano scambiati negli ultimi venti giorni. Non era presente sul tabulato, invece, il numero del cellulare di Giuseppe D’Amico, che nel primo pomeriggio fu convocato in commissariato.
Bruno, sulla cinquantina, alto oltre un metro e ottanta e particolarmente massiccio, D’Amico avrebbe potuto farne polpette di Li Rosi se lo avesse avuto tra le mani.
Noce andò subito al sodo, senza preamboli chiese: “Due settimane fa lei ha avuto una discussione con Li Rosi al Circolo Poseidon e gli ha gettato del vino in faccia. Perché?”.
“Se permette, commissario, questi sono affari miei”.
“Non permetto. C’è stato un omicidio, signor D’Amico, queste ritrosie sono assolutamente fuori luogo. Quindi non mi faccia perdere la pazienza e risponda”.
“Voglio il mio avvocato. Senza la sua presenza non dirò una sola parola”.
“Lei è qui soltanto come persona informata di fatti, non si tratta di un interrogatorio. La presenza dell’avvocato, quindi, non è prevista”, spiegò il commissario.
Ma D’Amico rimase fermo sulle sue posizioni: “In ogni caso non intendo rispondere alla sua domanda”.
“Non le conviene fare il duro, signor D’Amico. Questo suo atteggiamento mi porta a credere che lei abbia qualcosa da nascondere. Dov’era ieri sera dalle 19,30 alle 20?”.
D’Amico rimase in silenzio.
Noce si alzò, lo raggiunse dall’altra parte della scrivania e gli puntò l’indice della mano destra contro: “Se procede con questo suo atteggiamento, mi vedrò costretto a incriminarla per intralcio alle indagini”.
“Io me ne frego delle sue minacce. M’incrimini pure, sono incensurato: male che vada mi prenderò una condanna con la condizionale”.
“D’accordo, vuol dire che se la vedrà direttamente con il magistrato responsabile del caso. Può andare, signor D’Amico, ma non si azzardi ad allontanarsi da Napoli. Lei adesso è entrato di diritto nell’elenco dei sospettati dell’omicidio di Edoardo Li Rosi”.
 
***
 
Sulla base delle impronte di scarpe insanguinate lasciate sul luogo del delitto, la Scientifica stabilì che
 
- L’omicidio era stato commesso da una sola persona
- Sesso maschile
- Numero di scarpe 44
 
“E’ un buon punto di partenza, no?”, commentò Elio. “Potete scartare dall’elenco dei possibili colpevoli tutti coloro che portano quel numero di piede”.
Noce posò sul tavolo il bicchierino di amaro che aveva consumato e gli lanciò uno sguardo sdegnato e allo stesso tempo commiserevole.
“Perché, cosa ho detto di sbagliato?”, chiese il ristoratore.
“Che il delitto sia stato commesso da una sola persona, non ci possono essere dubbi, altrimenti avremmo trovato altre impronte di scarpe oltre quelle dell’assassino e di Cuomo, che da perfetto idiota qual è ha inquinato abbondantemente la scena del delitto. Che l’assassino sia di sesso maschile, mi pare ovvio: tu ce la vedi una donna indossare un paio di scarpe da uomo per poi maciullare Li Rosi a colpi di mazza da baseball? Ma il numero 44, mio caro, quello sì potrebbe essere stato indossato dall’assassino, pur avendo una misura di scarpe inferiore, per sviare le indagini”.
E qui Elio meritò i complimenti della iena. “Ma se è andata così, vuol dire che il delitto era premeditato”.
“Forse. Può darsi che l’assassino abbia effettivamente il 44 di piede e che sia andato nella concessionaria semplicemente per parlare con Li Rosi. Poi il colloquio è degenerato, l’uomo ha preso la mazza da baseball e ha battuto una lunga serie di fuoricampo sul cranio della vittima”.
“Certo che Li Rosi deve averlo fatto incazzare parecchio l’assassino… Quanti colpi gli ha sferrato?”.
 
***
 
“Esattamente 12”, precisò Ferdinando Barbato. Erano le 10,52 di giovedì 3 ottobre.
Il medico legale si era svegliato all’alba per effettuare l’autopsia del cadavere di Edoardo Li Rosi, per la quale Arcangelo Noce aveva sollecitato la massima urgenza. E adesso, nell’ufficio della iena, Barbato pretendeva un piccolo risarcimento: “Sia gentile, Noce, mi faccia portare un caffè. Possibilmente non quello del distributore”.
Il medico legale dava del tu a tutti, anche al questore, ma con Noce non ce la faceva proprio. Non riusciva a digerirlo, “è troppo stronzo”. Più volte, però, aveva riconosciuto pubblicamente le sue doti professionali: “Quell’uomo è un investigatore senza pari. Mai visto in vita mia un poliziotto bravo come lui”.
Anche Noce aveva grande stima di Barbato, benchè pubblicamente non l’avesse mai espressa. Di lui apprezzava soprattutto la dedizione al lavoro e la capacità di sintesi: “So che lei il caffè lo preferisce ristretto, dottore. Faccia al altrettanto per le sue informazioni”.
“Li Rosi è stato ucciso tra le 21,30 e alle 22”.
“Com’è possibile?", chiese sorpreso la iena. "Lo scagnozzo di Li Rosi ci ha detto che, cascasse il mondo, il suo datore di lavoro chiudeva la concessionaria alle 20”.
“Non so quali fossero le abitudini della vittima, commissario. Fatto sta che è stato ucciso a quell’ora. E, prima di essere spedito all’altro mondo, ha avuto un rapporto sessuale”.
 
***
 
“Dunque, riepiloghiamo”.
Per schiarirsi le idee, Noce aveva l’abitudine di fare il punto della situazione con il suo vice Donatella Dell’Angelo.
“Adesso sappiamo che:
 
- Alle 18,56 Li Rosi telefona a Francesco Rossi e gli comunica che quella sera non sarebbe andato a giocare a carte al Circolo perché - secondo quanto sostiene Rossi – aveva preso appuntamento con una donna di cui per il momento non conosciamo l’identità.
- Alle 19,30 Mario Cuomo lascia la concessionaria.
- Alle 20, al contrario di quello che ha sempre fatto, Li Rosi non chiude la bottega e rimane in ufficio.
 
“Questo cosa ti suggerisce, Donatella?”.
“Che Li Rosi si è incontrato con la donna nella concessionaria”.
“Esatto. Ma nello stomaco della vittima Barbato non ha trovato tracce di cibo, quindi cosa ne deduci?”.
“L’appuntamento con la donna inizialmente era soltanto di lavoro, altrimenti Li Rosi l’avrebbe portata a cena. Visto che lei gli interessava parecchio, ha fatto un’eccezione e ha prorogato l’orario di chiusura, probabilmente dietro richiesta della donna, che evidentemente non poteva giungere in concessionaria prima delle 19.30, altrimenti Cuomo l’avrebbe vista e ce lo avrebbe segnalato. Poi, mostrandole la vettura alla quale lei era interessata, Li Rosi ha cominciato a corteggiarla e i due sono passati a vie di fatto, magari sul sedile posteriore”.
“Fila - convenne Noce -, ma c’è qualcosa che manca nella tua ricostruzione: l’epilogo. In situazioni normali, dopo essersela scopata, Li Rosi avrebbe chiuso la concessionaria e l’avrebbe portata a cena. Se ciò non è avvenuto, è perché la donna aveva fretta di andar via: probabilmente è sposata e ha lasciato Li Rosi alla mercè di chi lo ha ucciso”.
“Mi sta dicendo che l’assassino, prima d’intervenire, ha atteso pazientemente fuori dalla concessionaria che la donna andasse via?”.
“Esatto. Io credo che l’assassino si sia recato in concessionaria tra le 19.45 e le 19.55, cioè negli orari in cui era più probabile che Li Rosi fosse solo. Ma arrivando sul posto lo ha visto in compagnia della donna e quindi ha aspettato che lei andasse via”.
E qui Donatella dimostrò che la stima di Noce nei suoi confronti era pienamente meritata: “Li Rosi quindi conosceva l’assassino”.
“Cosa te lo fa supporre?”, chiese il commissario visibilmente sorpreso e interessato.
“Dopo che la donna è uscita dalla concessionaria, Li Rosi sicuramente ha chiuso la porta a vetri d’ingresso dall’interno: era già abbondantemente fuori orario. L’assassino, per poter entrare, si è avvicinato alla vetrata per richiamare la sua attenzione e Li Rosi lo ha fatto entrare. Cosa che probabilmente non avrebbe fatto se si fosse trattato di uno sconosciuto”.
 
***
 
Il tabulato delle telefonate in entrata del numero telefonico della concessionaria diede rapidamente nome e cognome alla donna che la sera di martedì 1 ottobre indusse Li Rosi a cambiare improvvisamente programmi: niente più burraco ma serata decisamente più movimentata e senza lieto fine per il proprietario dell’autosalone.
Dopo la sua convocazione in commissariato, la donna aveva adesso anche un volto e, pur essendo gay, Noce capì perché quella sera Li Rosi barattò la partita a carte con l’appuntamento alla concessionaria con la 39enne Fernanda Barone: sia pure magra come un chiodo, quella bionda dai caprelli vaporosi emanava dai piani superiori, e in particolare dagli incredibili occhi azzurri, un fascino straordinario, che lievitava sensibilmente al suono della sua voce calda e sensuale. E dai toni calmi, pacati, come se Fernanda Barone si trovasse non davanti a un commissario di pubblica sicurezza per parlare di un omicidio, ma in un salotto della Napoli bene a consumare tè e pasticcini con le amiche discutendo del più e del meno.
Confermò tutto: “Con Li Rosi ci siamo visti più volte al Circolo Poseidon. Io sono la moglie di Fausto Merolla, il vice presidente amministrativo. Qualche giorno fa, parlando con Li Rosi dei problemi di vecchiaia della mia Golf, mi ha invitato a fare un salto al suo autosalone promettendomi un particolare trattamento di favore. Cosa puntualmente avvenuta”.
“A che ora ha fatto il suo ingresso in concessionaria?”, chiese Noce.
“Non ricordo con precisione, ma sicuramente prima delle 20”.
“Mentre è entrata ha visto qualcuno nei pressi dell’autosalone?”.
“No. Ma non potrei giurarci, commissario. La mia mente era particolarmente concentrata all’incontro con Li Rosi: si prospettava particolarmente interessante”.
“A che ora ha lasciato la concessionaria?”.
“Alle 21, commissario. E di questo sono assolutamente certa perché alle 21,15 avevo appuntamento con mio marito al “Rossini”, un ristorante di Mergellina. Sono arrivata in perfetto orario”.
“Anche suo marito?”, chiese Noce.
“Era ad attendermi davanti al locale ed è rimasto con me fino alle 23.30, così può tranquillamente togliersi dalla testa quello che sta pensando. Non è stato lui ad uccidere Li Rosi. Non ne aveva motivo. Deve sapere, commissario, che mio marito ed io abbiamo un accordo particolare che finora ha reso la nostra unione particolarmente felice: ognuno fa quello che più gli aggrada, sentimentalmente e sessualmente”.
 
***

Noce non aveva ancora la più pallida idea di chi fosse l’assassino, ma sapeva con certezza che Edoardo Li Rosi non era stato ucciso da:

- Consanguinei o parenti di Giuseppe Milano, il pregiudicato ucciso da Li Rosi durante il tentativo di rapina all’autosalone. Ognuno di essi fornì un alibi solidissimo per l’ora del delitto.
- Fausto Merolla, il marito di Fernanda Barone. Il proprietario del ristorante “Rossini” confermò quanto dichiarato dalla moglie: Merolla, giunto alle 21 al ristorante, da allora non si era mosso da lì.
 
Mettendo sotto torchio il suo vice Donatella Dell’Angelo 16 ore su 24, la iena inoltre era riuscito a sapere che:

- Tra concessionaria, beni immobili, conto corrente e cassetta di sicurezza, Li Rosi possedeva un patrimonio valutabile sul milione e 200mila euro
- Non aveva stipulato polizze d’assicurazione sulla vita
- Non aveva fatto testamento
- Michelangelo Li Rosi, il fratello maggiore della vittima, era l'unico erede dell’intero patrimonio
 
“Lo so a cosa sta pensando, commissario. Era talmente forte la nostra somiglianza che tutti credevano fossimo gemelli”.
A Noce, della somiglianza tra i fratelli Li Rosi, non poteva fregare di meno. Anche perché era assolutamente da escludere uno scambio di persona nell’omicidio, visto che Michelangelo da tempo lavorava e viveva a Genova. La iena, invece, stava pensando che un milione e 200mila euro potevano essere un movente più che sufficiente per ammazzare qualcuno, anche un fratello. Nella sua carriera aveva visto consanguinei scannarsi per molto meno, anche per motivi che col denaro nulla avevano a che vedere. Quindi senza il minimo scrupolo chiese a Michelangelo Li Rosi, di fronte a lui in commissariato alle ore 16,30 di giovedì 3 ottobre, “quali erano i suoi rapporti con suo fratello?”.
“Non ci vedevamo né sentivamo spesso, ma ci volevamo bene. Siamo cresciuti insieme, poi la necessità di trovare lavoro mi ha spinto a Genova, dove ho insegnato per otto anni storia e filosofia in un liceo. Tre anni fa mi sono stufato, ho piantato tutto e ho aperto un ristorante”.
“Gli affari come vanno?”.
“Negli ultimi tempi non molto bene. Il mio locale è a poche centinaia di metri dal Ponte Morandi, tutti i commercianti della zona hanno perso moltissimi clienti. Quindi non le nego che mi fanno molto comodo i soldi che erediterò da mio fratello. E se - come credo - lei sta pensando che possa essere stato io ad ammazzare Edoardo, le dico subito che è completamente fuori strada”.
“Il ristorante lo gestisce personalmente, signor Li Rosi?”.
“La gestione è familiare, commissario. Mi danno una mano mia moglie e mio figlio”.
“Qual è il giorno di chiusura?”.
“Il martedì. E proprio di martedì è stato ucciso mio fratello, lo so. Ma io ero a Genova e, come spesso capita, ho approfittato del giorno di chiusura del locale per uscire con mia moglie. Siamo andati al cinema, vuole il titolo del film?”.
 
***
 
“Voglio più cuore in acqua, avete capito? Dovete tirare fuori le palle! E tu che cazzo vuoi? Non vedi che sto parlando con i giocatori? Per caso sei orbo? Quante volte devo dirvi che durante l’allenamento non voglio essere disturbato da nessuno? Fosse pure il padreterno!”.
Il ragazzo delle giovanili che aveva interrotto Danilo Morano, l’allenatore della squadra di pallanuoto del Circolo Poseidon, con l’indice della mano destra indicò al tecnico la donna sulle gradinate della piscina del Circolo. “E’ della Polizia. Vuole parlare con lei, mister”.
“Con me? E che cazzo vuole?”.
“Non lo so. Mi ha detto soltanto “Dì all’allenatore che voglio parlare immediatamente con lui”.
“Va bene, potete andare a rivestirvi”. Morano congedò i giocatori e raggiunse Donatella Dell'Angelo.
“Sono il vice commissario Dell’Angelo. Ho bisogno di farle qualche domanda”.
“E non poteva attendere la fine dell’allenamento?”, chiese il tecnico.
“No”, rispose Donatella mentre in cuor suo rideva pensando a cosa sarebbe successo a Morano se al posto suo ci fosse stato la iena. Come minimo, dopo quella domanda, gli avrebbe fatto fare una figura di merda cazziandolo pesantemente davanti ai suoi giocatori.
“Sono qui, signor Morano, perché il suo numero di cellulare è presente ripetutamente sul tabulato del cellulare di Edoardo Li Rosi, il socio del Circolo ucciso martedì scorso. Non ci risulta che Li Rosi avesse cariche dirigenziali nel settore pallanuoto, quindi le chiedo cortesemente di spiegarmi il motivo di tutte quelle telefonate”.
“Volevo acquistare una macchina”, rispose il 42enne allenatore del Poseidon.
Corporatura massiccia, capelli bruni tagliati cortissimi e barba incolta contribuivano a dare al tecnico un aspetto da duro. Donatella ce lo vedeva benissimo a prendere a bastonate Edoardo Li Rosi con una mazza da baseball.
“Andiamo, signor Morano, chi vuol prendere in giro? Lo sanno tutti in questo Circolo che i suoi rapporti con Li Rosi erano pessimi. E’ vero che siete venuti alle mani durante una cena sociale?”.
“Si, ma risale a più di un anno fa, quando Li Rosi era il vice presidente sportivo del Circolo. All’epoca non condividevamo le stesse idee sulla gestione della squadra”.
“E adesso? Come si spiegano le tre telefonate che ha fatto a Li Rosi nell’ultima settimana?”.
“Pur non ricoprendo più cariche dirigenziali, Li Rosi aveva un forte peso politico all’interno del Circolo e non ha mai perso occasione per fare pressioni sulla dirigenza attuale affinchè mi mandassero via. Pressioni che sono aumentate fortemente negli ultimi giorni: la squadra sta andando male, ha cominciato la stagione con l’eliminazione in Coppa Italia e con una sconfitta nella prima giornata di campionato. Li Rosi, perciò, è tornato alla carica sollecitando il mio esonero, ma la dirigenza con un comunicato ufficiale mi ha confermato la fiducia. Lui non si è arreso e ha cominciato una vera e propria campagna denigratoria nei miei confronti sulla sua Pagina Facebook. Non ce lo fatta più, l’ho chiamato più volte e gli ho detto di smetterla. Tutto qui”.
“E Li Rosi cosa ha fatto?”.
“Ha continuato a chiedere pubblicamente il mio esonero, spalleggiato dalla frangia di soci che faceva capo a lui all'interno del Circolo”.
Era giunto il momento di fare la domanda per la quale Donatella era giunta fino alla sede del Circolo. Il vice commissario avrebbe potuto tranquillamente gestire quel colloquio telefonicamente, ma aveva bisogno di vedere dal vivo la reazione di Morano.
“Dove si trovava martedì 1 ottobre tra le 21,30 e le 22?”.
“In macchina. Stavo tornando a casa”, rispose senza esitare l’allenatore del Poseidon.
“Come fa a ricordarlo così prontamente?”.
“Tutti i martedì, fino alle 21, io lavoro al Circolo con la squadra Under 20”.
“In macchina era solo?”.
“Si, e non c’è nessuno che possa confermarlo. Non ho un alibi, ma non sono stato io ad uccidere Edoardo Li Rosi”.

***

Giovedì 3 ottobre - Ore 21
Arcangelo Noce uscì dal commissariato di Fuorigrotta, svoltò l'angolo e imboccò via Lepanto. "Devo ricordarmi di chiamare il procuratore", disse a voce alta passando davanti a una panchina dove una giovane coppia era intenta a scambiarsi effusioni.
"C'è qualcosa che non va?", chiese infastidito il ragazzo pensando che Noce ce l'avesse con lui. La iena lo ignorò. Sempre immerso nei suoi pensieri, giunse davanti alla trattoria di Elio e... "Che cazzo è successo?!".
L'insegna era spenta, la saracinesca abbassata. Noce si guardò intorno alla ricerca di qualcuno per chiedere notizie, ma la strada era deserta. Prese dalla tasca della giacca il cellulare e fece il numero di Elio: segreteria telefonica. "E adesso come faccio?! Dove cazzo vado a mangiare?".
Preso dal panico, telefonò a Donatella Dell'Angelo. Era ancora in ufficio.
"Cosa c'è, commissario?".
"E' successa una cosa terribile: la trattoria è chiusa. Vedi quello che devi fare, ma scopri che fine ha fatto Elio: io non posso rimanere digiuno".

 

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