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Waterpolo People

Giallo a puntate di Mario Corcione

  Pubblicato il 12 Feb 2015  06:53
Dedicato a Bruno Ramagli
 
PALOMBELLA ROSSO SANGUE (prima puntata)
 
Sabato 25 aprile 1992
Antonio Calandra, direttore della piscina comunale di Napoli, odiava il sabato.
Il sabato, mentre la gran parte dei napoletani è a casa a riposarsi o in giro a fare shopping, lui deve far sì che ogni cosa vada per il verso giusto in una piscina dove, dalle 14 fino alle 22, è tutto un susseguirsi di partite di pallanuoto.
Calandra non immagina neppure lontanamente, mentre scende le scale di casa, che quel sabato di partite non ce ne sarà nemmeno una. Sono le 7,45.
Venti minuti più tardi è già dietro la sua scrivania nella Direzione della piscina. I bagnini e gli altri dipendenti che si occupano dell'impianto arriveranno più tardi. Nell'attesa, Calandra prende il foglio dell'ordine del giorno e, continuando a leggerlo, si avvia per il consueto giro d'ispezione. Prima tappa del percorso, come sempre, gli spogliatoi delle squadre. Per raggiungerli deve passare per la grande vetrata che dalla direzione porta alle gradinate dell'impianto.
"Sei partite una dietro l'altra, ma come si fa?", borbotta mentre percorre il tragitto che, costeggiando il piano vasca, conduce all'altra vetrata, quella che dà negli spogliatoi, lo sguardo sempre incollato al foglio dell'ordine del giorno. "Andiamo a vedere se quelle teste di cazzo anche stavolta hanno dimenticato qualcosa negli spogliatoi".
"Qui tutto a posto... qui niente, qui... Oh Gesù!...".
Nella medicheria un lago di sangue. E a terra, con un paio di forbici infilato nella schiena... "Bruno! Oddio, no, non può essere!".
 
***
 
"A che ora ha trovato il corpo?".
"Saranno state le 8.20, minuto più minuto meno".
A interrogare Calandra è Gianni Arnò, 42 anni, bresciano, dirigente del commissariato di Fuorigrotta. Dieci anni di carriera a Milano, poi il trasferimento a Napoli per aver pestato piedi che è meglio scansare se si vuol far carriera.
A quest'ora - mentre parla con il direttore della piscina sono le 10.20 - avrebbe dovuto essere in aliscafo, destinazione Capri: si era preso un giorno di permesso per trascorrere il week end con amici. Niente Faraglioni, pazienza. Avrebbe trascorso il sabato nella Direzione di una piscina a fare domande sull'omicidio di Bruno Cortona, 28 anni, giocatore di pallanuoto della Blue Sky, la squadra più titolata della città. "Possibile che nessuno del personale ieri sera si sia accorto che un uomo è stato ammazzato negli spogliatoi?".
"No, commissario, perchè la sera, dopo che è finita l'attività, noi non facciamo alcun sopralluogo. Il personale, prima di andare via, alle 22 chiude gli interruttori generali della luce e dell'acqua e i due cancelli d'ingresso. Tutto qui".
Come dire: poteva anche arrivare Mosè in calottina a dividere l'acqua della vasca, non ce ne saremmo mai accorti.
Cortona era stato ammazzato dove era stato trovato. Nulla suggeriva agli inquirenti che il corpo fosse stato trasportato in un secondo momento nella medicheria, uno stanzone rettangolare quattro metri per due, all'interno degli spogliatoi, nel quale c'erano una panca, un tavolino, un lettino per i massaggi, un armadietto dei medicinali e adesso anche il cadavere di un uomo. Il corpo era di lato, al centro della stanza, con la faccia rivolta verso la porta d'ingresso. Capelli castano chiaro, occhi color nocciola, un metro e ottantacinque d'altezza, la vittima indossava una tuta sportiva che lasciava intravedere la sua corporatura robusta.
Sul tavolino della medicheria un quaderno formato A5, aperto. Sul pavimento una Bic, a un metro circa dal cadavere. La penna, che aveva il cappuccio sul lato del tappino, era stata raggiunta dalla pozza di sangue che copriva compatta buona parte del pavimento. L'armadietto dei medicinali, appoggiato ad uno dei muri più corti della stanza, aveva un vetro rotto, ma non c'era sangue nè sul ripiano corrispondente, dal quale presumibilmente erano state prese le forbici che avevano ucciso Cortona, nè sulla parte di pavimento disseminata di cocci. L'armadietto era chiuso a chiave.
Calandra spiegò al commissario che quel venerdì sera Cortona nella medicheria non c'era andato per caso: "Ieri sera alle 20, dopo essersi allenato con i compagni di squadra, Bruno ha lavorato con la formazione Esordienti della Blue Sky, di cui è l'allenatore. Intorno alle 21, terminato l'allenamento, si è intrattenuto con i genitori dei ragazzi per una decina di minuti. Lo posso dire con certezza perchè ho visto la scena dal ballatoio che si affaccia sul piano vasca. Vado sempre là quando voglio fumare una sigaretta", fregandosene altamente - pensò Arnò - del cartello di divieto affisso sulla vetrata.
"Poi come sempre - concluse la sua disquisizione il direttore - Cortona è andato negli spogliatoi per scrivere i propri appunti sull'allenamento. Usava l'unico tavolo esistente, quello della medicheria".
"Chi era a conoscenza di questa sua abitudine?", chiese il commissario senza farsi particolari illusioni. La risposta, infatti, fu esattamente quella che si aspettava: "Praticamente tutti".
Altra domanda: "Chi possiede la chiave dell'armadietto dei medicinali?". Altra risposta di scarsa utilità per il commissario: "Il medico sociale di ogni società che usufruisce dell'impianto". Le società erano 43.
 
***
 
Sempre da Calandra, Arnò venne a sapere che la porta della medicheria, per facilitare l'accesso in caso di emergenza, non era mai chiusa a chiave. L'assassino, quindi, avrebbe potuto essere già lì quando Cortona è entrato.
Ma non era andata così. Non c'era bisogno di un Hercules Poirot per arrivarci, bastava un semplice commissario bresciano. Il quaderno A5 aperto sul tavolo e la punta della penna non coperta dal cappuccio indicavano che Cortona, prima di essere ucciso, aveva cominciato a scrivere i suoi appunti. Ipotesi confermata sia dal testo che terminava con una frase lasciata a metà ("Il ragazzo negli ultimi tempi ha fatto registrare notevoli progr...") sia dall'esame dell'inchiostro che il lunedì successivo la scientifica avrebbe fatto pervenire ad Arnò.
Ma c'erano tanti altri interrogativi ai quali il commissario doveva dare una risposta. Per prima cosa: perchè l'assassino è andato ad ammazzare Cortona in un impianto pubblico? Non aveva paura che qualcuno lo potesse vedere? Calandra, su invito di Arnò,  provò a dare una spiegazione: "Il venerdì sera non c'è più nessuno in piscina a quell'ora tranne il personale, che si raduna in direzione per prendere gli accordi per il giorno successivo. Da qui, come può notare, non possiamo vedere neppure il piano vasca, figuriamoci quello che accade negli spogliatoi".
"Ma ci sarà pure un controllo su chi entra in piscina?".
"Fino alle 21 c'è il personale di guardia nella garitta accanto al cancello d'ingresso principale, poi - e Calandra allargò le braccia come per scusarsi - non c'è più alcun tipo di vigilanza".
Arnò era sbigottito: "In altre parole lei mi sta dicendo che dalle 21 in poi chiunque può entrare in piscina, fare indisturbato i propri comodi e andarsene liberamente...".
"Anche di giorno, purtroppo. Questo è un porto di mare, a tutte le ore entra ed esce tantissima gente, è praticamente impossibile effettuare un controllo. Ci vorrebbero dei tornelli per disciplinare l'ingresso, glie lo abbiamo detto mille volte a quelli del Comune, ma possiamo già considerarci fortunati se a fine mese ci danno lo stipendio... Commissario, fra poco arrivano le squadre per gli allenamenti. Che devo fare?".
"Nessuno può entrare in piscina fino a nuovo ordine. Tra le squadre che vengono stamattina c'è anche quella di Bruno Cortona?".
"Sì, il sabato mattina i giocatori della Blue Sky fanno un allenamento leggero in vista della partita".
"Bene, appena arriva la squadra dica all'allenatore di venire qui in direzione".
Dove, pochi minuti dopo, lo raggiunse Ferdinando Barbato, 52 anni, marcatissimo accento napoletano, medico legale: "Ad un primo esame, il delitto è avvenuto tra le 21 e le 22 di ieri sera. Potrò essere più preciso soltanto dopo l'autopsia", si affrettò ad aggiungere per evitare altre domande alle quali avrebbe potuto dare una risposta immediata soltanto se l'omicidio lo avesse commesso lui stesso.
Tra i due c'era sintonia e stima reciproca, e una passione in comune: la cucina partenopea. Con una differenza sostanziale: gli effetti di questa passione non si vedevano su Arnò, che smaltiva gli eccessi di peso grazie anche alle scarpinate alle quali lo costringeva il suo lavoro, ma su Barbato impietosamente sì. E l'abbondante sovrappeso del medico legale (110 chilogrammi per 168 centimetri di altezza) non era dovuto solo al fatto che per sezionare cadaveri non c'era bisogno di fare chilometri - se è per questo neppure metri - ma ad una particolare aggravante. A Barbato, oltre che mangiare, piaceva cucinare: per la gioia di chi invitava a cena (era un cuoco formidabile) e per la disperazione di sua moglie Eva, costretta ogni volta a ripristinare lo statu quo dopo che era passato "il ciclone Ferdinando". "Visto come lascia il tavolo della cucina, non oso pensare a come lascia il tavolo dell'obitorio dopo ogni autopsia", era solita dire alla 19enne figlia Teresa, che pur somigliando al padre in tutto e per tutto, obesità compresa, aveva scelto ben altro indirizzo universitario: lettere e filosofia. Cosa che Ferdinando Barbato non aveva mai digerito.
"Ah, martedì sei a cena da me, faccio la genovese", annunciò Barbato ad Arnò risollevandogli di colpo il morale, che scendeva precipitosamente ogni qualvolta il commissario si imbatteva in un delitto. Benché ne avesse visti tanti, non riusciva ancora ad abituarsi all'idea che qualcuno potesse togliere la vita ad un suo simile. E riteneva l'omicidio, oltre che un atto assolutamente inconcepibile, un gesto di grande stupidità. Chi possiede un minimo di sale in zucca, pensava Arnò, può sempre trovare una soluzione alternativa.
Il delitto passionale, poi, lo faceva incazzare particolarmente. Brutto stronzo, ma con tante donne che ci sono sulla faccia della terra devi per forza fissarti con una al punto da ammazzarla?
Nessun movente, secondo Arnò, poteva giustificare un'azione così estrema come l'omicidio. Già, il movente... Cosa aveva spinto l'assassino a togliere di mezzo Cortona? Il commissario, che non mancava mai di chiedere a Barbato pareri che andavano al di là dell'aspetto puramente medico-legale, gli domandò: "Che idea ti sei fatto su questo delitto?".
"Più o meno, credo, quella che ti sei fatto tu. Cortona ieri sera è stato raggiunto da qualcuno nella medicheria. Forse la visita era inaspettata, forse no. Sulla dinamica del delitto, almeno per il momento, c'è una sola certezza: l'assassino ha rotto il vetro dell'armadietto, ha preso le forbici e le ha conficcate nella schiena di Cortona".
"Bruno Cortona... io questo nome l'ho già sentito".
"A me non dice niente... Beh, se non hai più bisogno di me, io andrei. Ci sentiamo lunedì pomeriggio per i risultati dell'autopsia. Ti auguro un buon fine settimana", e andò via sghignazzando.
Il commissario rispose salutando Barbato con l'indice della mano destra. Proprio un bel week end... Già immaginava, Arnò, l'assalto dei cronisti. L'assassinio di un giocatore... I media si sarebbero tuffati a pesce nella vicenda e ci avrebbero sguazzato per un bel po'. I titoli, poi... Il commissario si aspettava di trovare sui quotidiani del giorno dopo qualcosa tipo "Calottina insanguinata" oppure "Sangue e cloro". E ci avrebbe giurato che qualche redattore di poca fantasia avrebbe tirato fuori il titolo "Palombella rosso sangue", richiamando il celeberrimo film di Nanni Moretti del quale Arnò non si vergognava di dire apertamente: "Non ci ho capito nulla".
Il cinema gli piaceva molto, e moltissimo gli era piaciuto Ecce Bombo, uno dei primissimi film di Moretti. E adesso ricordava di aver letto da qualche parte che anche lui era stato un pallanuotista. Non gli andavano a genio, invece, i giornalisti e anche questa volta avrebbe passato la patata bollente al suo vice, Giuseppe Francese. Che se la sbrighi lui con quelli della stampa! "Ah, eccolo che arriva, e quello deve essere l'allenatore".
 
***
 
Giuseppe Francese. Una sagoma. Ad Arnò, quando era incazzato, bastava guardare il suo vice per ritrovare il buonumore. Occhi di un celeste che il commissario non aveva mai visto, una montagna di capelli biondi, un naso troppo grande per la sua faccia e una conformazione fisica "a barilotto" che aveva messo tutti d'accordo nel commissariato di Fuorigrotta: "Si, è vero, Francese è un poliziotto tutto d'un pezzo".
Arnò fisicamente era l'esatto opposto, l'incarnazione del commissario dei film di serie C degli anni settanta, quelli in cui la Polizia spara anche se ha le mani legate: bruno, capelli corti, baffi, spalle larghe e fianchi stretti. "Pino, mentre io parlo con il mister vai a vedere se quelli della scientifica hanno finito negli spogliatoi e fatti dire se hanno per noi già qualcosa d'importante su cui cominciare a lavorare... Prego, si accomodi, signor?".
"Zovic, Tomislav Zovic. Sono jugoslavo, ma è da vent'anni ormai che vivo qui Italia", esordì l'allenatore, che al commissario ricordava vagamente l'attore Lino Ventura: bruno, altezza media, fisico da lottatore e una faccia da duro che faceva a pugni con la voce flebile, il tono pacato: "Ancora non riesco a credere a quello che è successo... povero Bruno... Chi può aver fatto una cosa simile?".
"Per il momento ne sappiamo poco o nulla. Spero che lei possa aiutarci a capire qualcosa di più, rispose Arnò, che si era sempre chiesto come facevano gli slavi a parlare disinvoltamente la nostra lingua dopo solo un paio di mesi di soggiorno in Italia. Rapidità che destava nel commissario stupore, ammirazione e anche invidia: lui, che da studente aveva vissuto a Zagabria per quattro mesi ospite di amici, non aveva imparato praticamente nulla della lingua slava. L'incontro con Zovic poteva essere dunque l'occasione giusta per ottenere finalmente una risposta alla sua curiosità, ma c'era un delitto di cui occuparsi, per cui la prima domanda fu: "Cosa mi può dire di Bruno Cortona?".
"Fino a due anni fa ha giocato a Roma, la città dove è nato e cresciuto pallanuotisticamente. Giocava nella Lazio, noi della Blu Sky abbiamo fatto carte false per portarlo qui: era un gran talento, bravo come pochi. Da qualche mese, però, il suo rendimento era sceso notevolmente".
"Come lo spiega?".
"Le donne, commissario. Gli piacevano molto. Le cambiava spesso, e tutte bellissime".
"In altre parole, non faceva proprio una vita d'atleta...".
"Per allenarsi, si allenava. Mai un ritardo, da questo punto di vista non avevo nulla da lamentarmi. Ma a lungo andare certi abusi influiscono sul rendimento, non c'è bisogno che glie lo dica io".
"E i compagni di squadra? Con lui andavano d'accordo?".
"Di più, lo adoravano. Bruno sapeva farsi volere bene, era sempre allegro, rideva e scherzava con tutti. Da quando era con noi mai uno screzio, mai una parola fuori posto, né con i compagni né con la dirigenza".
"E con gli avversari?".
"Beh, lei saprà che la pallanuoto è un gioco molto duro, in acqua gli scontri non mancano mai. Ma una volta finita la partita, si dimentica tutto. Non credo proprio che uno come Bruno, con il carattere che si ritrovava, si sia fatto qualche nemico tra gli avversari. E poi non sono cose che possono portare ad un delitto".
Balle, pensò Arnò. Nella sua carriera ne aveva visti tanti di delitti commessi per un movente banale. E tantissimi addirittura senza alcun motivo. Ma non era né il momento né il luogo per aprire una discussione sull'argomento, a lui interessava soltanto acquisire il maggior numero di notizie possibili sulla vittima. "A Napoli Cortona viveva da solo?".
"Si, in un piccolo appartamento a Bagnoli. A Bruno piaceva molto la compagnia ma, a differenza di altri giocatori che volentieri dividono l'alloggio, lui preferiva abitare da solo. E' stata una sua precisa richiesta e la società, che lo voleva ad ogni costo, lo ha accontentato".
"Che lei sappia, Cortona beveva, faceva uso di stupefacenti?".
"Per carità! Non gli ho mai visto una sigaretta in bocca. E quanto al bere, davanti a me ha preso al massimo una birra. Ma poi queste cose nell'ambiente si sanno... No, commissario, creda a me, Bruno aveva un solo vizio: le donne".
"Un'ultima cosa: avrei bisogno di parlare urgentemente con il vostro medico sociale. Come posso mettermi in contatto con lui?".
"Gli faccio subito un colpo di telefono e, se lei è d'accordo, gli dico di venire al più presto in piscina. Si chiama De Matteis, Sergio De Matteis".
"Grazie, signor Zovic, può andare. Mi raccomando, non esiti a chiamarmi se le verrà in mente qualche particolare che possa essere d'aiuto alle indagini".
 
***
 

Rimasto solo, Arnò decise che era il momento di fare il punto della situazione. E, trovando con se stesso la scusa che per concentrarsi meglio aveva bisogno di un piccolo aiuto, andò al distributore automatico e pigiò l'unico pulsante che poteva interessargli: caffè. Operazione velocissima, lo prendeva amaro. Era già il terzo della giornata. Ore 11.40.
Dunque, riflettè il commissario, abbiamo un pallanuotista sciupafemmine che, stando a quello che sostiene il suo allenatore, non aveva nemici. Ma uno doveva averlo per forza, vista la fine che ha fatto. Il modo in cui è stato ucciso sembra dirci che non si tratta di omicidio premeditato: quando è arrivato in piscina, l'assassino non aveva l'arma con sé. Probabilmente voleva solo un chiarimento con il giocatore, ma la discussione è degenerata, ha preso le forbici e ha ammazzato Bruno Cortona... Eppure io questo nome l'ho già sentito. Ma quando, dove?
Il commissario fu distolto dai suoi pensieri dal ritorno di Francese: "La scientifica ha finito, il corpo è già stato portato via. Non abbiamo trovato le chiavi di casa della vittima, sparite. Addosso Cortona non aveva nulla che potesse interessarci. E nulla di particolarmente interessante è stato trovato sia nella borsa degli indumenti sportivi, che era negli spogliatoi, sia nella Peugeot del giocatore parcheggiata nel posteggio antistante la facciata principale della piscina. Le chiavi dell'auto erano in una delle tasche dei pantaloni".
"In altre parole - disse il commissario con malcelata delusione - finora non abbiamo niente di concreto su cui lavorare. Sono stati avvisati i familiari di Cortona?".
"Si, ci ho pensato io. Ho parlato con la madre del giocatore, il padre era in viaggio per lavoro ma rientrerà stasera stessa".
"Ok, convochiamoli per lunedì mattina in commissariato assieme al capitano della squadra. Oggi pomeriggio io andrò a dare un'occhiata all'appartamento di Cortona sperando di trovare qualcosa che apra uno spiraglio in questa vicenda. Chiama la scientifica e dì ai tecnici di raggiungermi sul posto. Io sarò là intorno alle 16. Adesso voglio sentire il medico sociale della squadra e poi ce ne andiamo finalmente a mangiare un boccone".
Arnò dovette attendere per più di tre quarti d'ora l'arrivo del Dott. De Matteis, un giovanotto magro, distinto, dalle movenze frenetiche, con occhiali dalla montatura di tartaruga che richiamavano il rosso dei capelli. "Mi scusi, commissario, ho fatto più in fretta che potevo, ma lo sa com'è il traffico qui a Napoli... mi hanno detto che lei è del nord, come si trova qui da noi?".
"Ormai sono due anni che sono qui, mi sento un po' napoletano anch'io. Lei di dov'è?". Si pentì subito di averglielo chiesto.
"Sono nato a Portici, a pochi chilometri da Napoli. Lo sa che è uno dei comuni con la più alta densità di abitanti in Italia? Compressi come sardine. Fortunatamente abito lontano dal centro, in un appartamento a due passi dal mare. Sa, ho la passione per la pesca... quella con la canna, è chiaro,  che gusto c'è con il fucile? Ed è pure pericoloso, ne ho visti di sub che sono finiti all'ospedale... Le ho già detto che lavoro in ospedale? No, che non glie l'ho detto. L'ospedale di Casal di Principe, una struttura un po' obsoleta ma con apparecchiature all'avanguardia. Io sono pediatria, sto studiando per il concorso di aiuto-primario e spero proprio di farcela. Lei però si chiederà come mai sono diventato il medico sociale della Blu Sky... ebbene, anch'io nel mio piccolo sono stato un pallanuotista: ho giocato per qualche anno in serie C, ma a un certo punto ho dovuto fare una scelta: o la pallanuoto o lo studio e...".
"...e lei ha scelto lo studio". Arnò riuscì finalmente ad arginare quel fiume di parole rimpiangendo per un attimo quei begli interrogatori nei quali dopo la prima domanda arriva puntualmente la risposta "Parlerò soltanto in presenza del mio avvocato". Se non lo avesse fermato, quel giovane medico gli avrebbe raccontato tutta la sua vita, mentre lui doveva scoprire qualcosa su una morte, quella di Bruno Cortona".
Per non essere travolto da una nuova valanga di chiacchiere, il commissario tagliò corto: "L'ho chiamata perchè voglio controllare con lei se manca qualcosa nella medicheria, è là che è stato commesso il delitto".
Durante il tragitto Arnò si guardò bene dal dare la stura ad una nuova ondata di informazioni non richieste. Stando prudentemente zitto, riuscì a raggiungere "indenne" gli spogliatoi. Una volta giunti nella medicheria, una domanda però fu costretta a fargliela: "Cosa può dirmi di Cortona dal punto di vista sanitario?". Con suo grande stupore stavolta la risposta fu sintetica: "Scoppiava di salute. Da quando è a Napoli non ha mai avuto infortuni di rilievo, non ha mai saltato una partita".
"Bene. Adesso, dottore, se cortesemente vuol dare un'occhiata all'armadietto dei medicinali... stia attento a non farsi male, il vetro è rotto".
"Dunque, vediamo... mi sembra che non manchi nulla... ah, si, le forbici. Mancano le forbici".
"Nient'altro, dottore?".
"No, c'è tutto. Posso provvedere a far riparare il vetro?".
"Certo. La scientifica ha già fatto i rilievi necessari. La ringrazio per il suo aiuto, può andare. Mi lasci però un numero di telefono dove posso rintracciarla, potrei nuovamente avere bisogno di lei".
Il commissario uscì dalla medicheria e raggiunse Francese, il suo vice, sul vasto spazio incolto antistante gli spogliatoi. Il terreno confinava a sinistra con un parco giochi, a destra con il cinodromo. Quando Arnò era bambino, per il settimo compleanno ebbe in regalo un labrador. Il padre del commissario, che era un burlone, lo aveva chiamato Pinotto soltanto per aver l'opportunità di fare la battuta "Ecco che arrivano Gianni e Pinotto", coppia di comici americani famosissimi negli anni 40 e 50, una sorta di Stanlio e Ollio di serie B.
Quando morì Pinotto (il cane, non il comico) l'allora quindicenne Arnò per il dolore non volle più alcun tipo di animale domestico, ma anche oggi la passione per i cani era rimasta la stessa. "Tu vedi un po' - disse a Francese - se quegli stronzi devono fare i soldi sulla pelle di quelle povere bestie". Quegli stronzi erano ovviamente i gestori del cinodromo.
Gli inquirenti appurarono che erano praticamente inesistenti le possibilità che l'assassino di Cortona si fosse dileguato scavalcando il muro che separava il terreno dal cinodromo e dal parco giochi. Era troppo alto, ci sarebbe voluta una scala che in piscina non c'era. Però non era da scartare l'ipotesi che l'omicida in qualche modo ci avesse provato, per cui il terreno fu perlustrato in lungo e in largo. "Ci si potrebbe ricavare un bel parcheggio per gli atleti", disse il commissario, e forse era stata proprio quella la destinazione originaria del terreno. Al momento, però, era un problema anche percorrerlo a piedi. "L'unico atleta che si troverebbe a suo agio là in mezzo è Tarzan", disse Francese indicando quello che era diventato ormai un roveto, nel quale avanzavano faticosamente i poliziotti in perlustrazione. Arnò sperava che qualcuno interrompesse la ricerca per annunciare "Ho trovato qualcosa", invece da quel mare di sterpaglie arrivavano soltanto le imprecazioni degli agenti. "Ma il Comune non vede in che stato è ridotta questa piscina e tutto quello che c'è intorno?", disse Francese. "Andemm a mangià che l'è mej", rispose il commissario.
 
FINE PRIMA PUNTATA (giovedì 26 febbraio la seconda puntata)

 

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