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Festa in casa Rossi con lo scudetto di papà Marco

  Pubblicato il 31 Mag 2117  09:05
DA "LA GAZZETTA DELLO SPORT" DI OGGI
 
E’ stata una festa amara per Marco Rossi da Druento (Torino), 52 anni, tecnico della Honved di Puskas e Bozsik, di Bela Guttman (suo illustre predecessore) e dell’Esercito, 13 titoli finora in bacheca. Festa triste perché subito dopo il titolo, conquistato dopo ben 24 anni dall’ultimo trionfo, Rossi ha annunciato l’intenzione di non rinnovare il contratto: va via. Dice ora alla Gazzetta: «Lascio a Budapest una parte del mio cuore. Oltre agli amici lascio i giocatori che sono stati fantastici quest’anno, un bel gruppo davvero, anche se non so quanti ne resteranno, qui ne venderanno molti di sicuro. Mi hanno fatto diventare campione. Lascio poi i tifosi che sono stati fantastici, sabato lo stadio era pienissimo, quasi 9 mila persone (su una media sotto i 3 mila, ndr),  tutti con la maglia rossonera, è stato molto emozionante».
 
Come avete festeggiato?
«Con mio figlio Simone, che gioca nel Posillipo di pallanuoto, e un nipotino. Mia moglie Maria è rimasta in Italia, perché domenica eravamo già a Torino al battesimo di un altro nipotino e io ero il padrino. Una cena semplice al ristorante del mio amico Pippo, dove tutto qui in Ungheria è iniziato, ormai è il mio quartier generale».
 
Era giugno 2012, qui ha incontrato l’allora d.s. Cordella che le ha presentato il presidente. Poi è andato via nell’aprile ’14, è tornato nel febbraio 2015, salvandola dalla retrocessione.
«Già, ecco, dalla quasi Serie B al titolo. Il proprietario avrebbe dovuto essere più riconoscente, mi ha proposto condizioni improponibili. Ma nel calcio non c’è memoria, né grazie». 
 
Futuro in Italia? 
«Assolutamente no, perché non si è fatto vivo nessuno. Al momento ho proposte da vari club ungheresi e slovacchi e un paio dall’Arabia Saudita. Vedremo più avanti».
 
A chi dedica il titolo?
«Scontato, alla mia famiglia che mi ha supportato e sopportato a distanza, e ai tifosi. Aspettavano il titolo da 24 anni, loro hanno dimostrato un attaccamento incredibile, meriterebbero di festeggiare non una volta ogni 20 anni».
 
«Quest’anno l’obiettivo all’inizio era la salvezza senza rischiare», ci ha detto a marzo.
«Abbiamo vinto il campionato da squadra. Abbiamo trovato la quadratura del cerchio dopo una decina di gare, un assetto tattico ideale nel 3-5-2, i ragazzi hanno reso al meglio, anzi al 110%. E poi davanti la coppia Lanzafame-Eppel, 11 e 16 gol a testa, capocannoniere l’ungherese, 6 assist pure per l’italiano, ragazzi di gran qualità».
 
Sul gol decisivo di Eppel col Videoton sabato, su azione iniziata da Lanzafame e rifinita col cross di Ikenne, lei è rimasto quasi  impietrito.
«Perché mancava ancora mezz’ora e anche se ci bastava il pari ero preoccupato».
 
Eppel, il nigeriano Ikenne, Lanzafame, Zsoter, Kamber, Vasiljevic, Koszta: tutti presi da lei in questi anni.

«Un motivo d‘orgoglio in più aver costruito questa squadra, la cosa davvero più bella». 
 
Avete vinto col 2° attacco (55-65) e 2ª difesa (30-28) dietro al Videoton e ne avete perse 2 su 3 contro di loro in stagione, ma alla fine avete vinto voi il titolo.
 «Loro hanno pareggiato di più (8 a 5, ndr). Vuol dire che noi abbiamo avuto più determinazione, ci abbiamo sempre creduto, abbiamo lottato fino alla fine e sempre per i 3 punti, con lo spirito giusto». 
 
Ma siete partiti male, con 3 k.o. nelle prime 8 giornate e 5 su 13, eravate a -10 dalla testa, dal Vasas. Poteva immaginare di vincere il titolo? 
«No, certo, il titolo no, però coltivavamo comunque l’obiettivo Europa, questo pensiero ci ha portato avanti». 
 
Anche perché ha una formazione giovane sui 24,7 anni di media. Con 12 cresciuti nel vivaio, mentre il Videoton ne ha 4, il Ferencvaros 5. E alla fine avete chiuso con 5 vittorie di fila. 
«Segno pure di ottima preparazione; nelle prime 19 gare abbiamo fatto 34 punti (1,79 di media, ndr), poi 31 punti in 14 match (2,2), proprio un grande girone di ritorno».
 
Che cos’era per lei la Honved, prima di venirci nel 2012?
«Sono cresciuto nel vivaio del Toro, mi cambiavo al vecchio Filadelfia, dove mi portava mio nonno. E lui mi parlava sempre del Grande Toro e della Honved di Puskas e Bozsik. Per me la Honved era come sentirmi a casa, sono molto legato».
Iacopo Iandiorio
 
 

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