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Dalla quarta alla settima puntata

  Pubblicato il 20 Feb 2018  10:29
161 centimetri. Questa l'altezza minima richiesta alle donne per entrare in Polizia.
Tutte le ragazze del Busto Royal Team superavano abbondantemente il metro e settanta. Erano entrate nell'ufficio di Arnò accompagnate dai commenti e dagli sguardi dei poliziotti in servizio.
Molto alte, molto belle, molto spaventate.
Arnò cercò di sdrammatizzare la situazione: "Quando si tratta di fare lavori pesanti in commissariato, tutti i miei uomini si defilano, chi per un motivo chi per un altro: "Mi spiace commissario, non posso: ci hanno avvisato che c'è l'Uomo Ragno sui tetti di Busto Arsizio"... "E io devo arrestare Diabolik"... "E io ho lasciato la volante in divieto di sosta...".
"Ma quando capita qualche bella ragazza in commissariato - proseguì Arnò - improvvisamente li vedi spuntare da ogni dove. Avete visto come si affannavano a procurare le sedie?".
Dodici le pallavoliste del Busto Royal Team sedute attorno alla scrivania del commissario. Francese si godeva la vista in piedi, alla sinistra di Arnò.
"Siamo spiacenti di averle creato tutto questo trambusto", prese la parola una bruna con i capelli cortissimi: Angela Monelli, il capitano della squadra.
"Nessun trambusto. Piuttosto, come mai siete qui da sole?".
"Tutto lo staff dirigenziale e tecnico è in riunione al Palayamamay per fare il punto della situazione. Probabilmente chiederanno alla Lega Pallavolo di rinviare tutte le nostre partite di campionato. Anche oggi avremmo dovuto giocare, ma con tutto quello che è successo...".
Una biondina, una delle più giovani del gruppo, cominciò a piangere. La rossa che le stava accanto l'abbracciò stretta.
"Siamo qui per chiedere protezione - disse Angela Monelli -. Ormai è chiaro, c'è in giro un pazzo che ce l'ha con noi. I media parlano di serial killer, dicono che quella V sul braccio di Betta Dellagro probabilmente si riferiva a Veronica Nesti, e adesso quella A...". Si fermò, faceva fatica a parlare, poi riprese con più vigore e guardando duramente il commissario chiese: "Che cosa avete intenzione di fare per fermare questo massacro?".
Arnò improvvisamente si rese conto che le misure di sicurezza che aveva studiato assieme a Francese erano inadeguate. "Parlerò con il Questore, chiederò rinforzi, voglio fare in modo che ognuna di voi sia tenuta d'occhio giorno e notte. Ma da parte vostra esigo la massima collaborazione: se c'è qualcuna di voi che ha il minimo sospetto, lo dica immediatamente. Tutto può esserci utile, anche particolari che a voi potrebbero sembrare inutili".
Nessuna parlò.
 
***
 
"Sono pronto per il terzo grado", e accese la lampada sul comodino alla sua destra mentre s'infilava tra le lenzuola.
Ogni sera, al rientro a casa, Arnò metteva al corrente Silvia di tutto ciò che era accaduto durante la giornata. Un rituale sempre dilettevole (aiutava il commissario a scaricare la tensione accumulata) e spesso anche utile: parlando delle indagini con la compagna, più di una volta si era accesa un'altra lampadina: quella delle intuizioni, nella testa di Arnò.
Le raccontò dell'irruzione delle pallavoliste in questura. "Una più bella dell'altra", apprezzamento che gli valse un pugno sull'avambraccio sinistro, proprio dove fa più male.
Le riferì della loro ritrosia a parlare della vita privata di Veronica Nesti. "Un mutismo che mi aspettavo. Le squadre sportive sono come le confraternite: c'è solidarietà, complicità, a volte anche omertà".
"Forse è anche per quello che si sono presentate in blocco da te", osservò Silvia.
"Certo, ma soprattutto per trasmetterci in tutta la sua dimensione il peso della preoccupazione che si portano addosso in questi giorni. Oltre alla paura dell'assassino, hanno il timore che noi si possa sottovalutare ciò che sta accadendo".
"Ed è una paura fondata?", chiese Silvia.
Arnò sorrise: "Diciamo che lo era. In un primo momento avevo deciso di mettere un uomo soltanto sotto l'abitazione delle tre ragazze il cui nome o cognome comincia per A, ma poi guardandole lì davanti a me in ufficio mi sono reso conto che il pericolo di un nuovo omicidio coinvolge tutte, indifferentemente. Domani mattina parlerò con il questore per chiedere rinforzi".
"Cos'altro hai saputo dalle ragazze?".
"Oltre al numero di cellulare, che può sempre servire (e si beccò un altro pugno nello stesso posto di prima), ho ricostruito con il loro aiuto gli ultimi spostamenti di Veronica Nesti. Tutte le versioni concordano: dopo l'allenamento la ragazza è uscita dal Palayamamay alle 21,45 assieme alle compagne ed è salita da sola sulla sua Twingo. A tutte ha detto che sarebbe andata a casa: vive al centro di Busto assieme ad un'amica, che attendo domani in ufficio. Nessuna delle sue compagne ha notato qualcosa di anomalo nel comportamento della Nesti, a nessuna la ragazza ha confidato particolari che potrebbero essere d'aiuto alle indagini. Dal tabulato del suo cellulare non risultano numeri di telefono che si ripetono con una certa frequenza, e le sue compagne di squadra li hanno riconosciuti tutti. L'ultima telefonata l'ha fatta alle 21 alla ragazza con la quale divideva l'appartamento".
"Ma tu cosa pensi? Si tratta davvero di un serial killer?".
"Tutto lo lascia supporre. Intanto, è stata chiarita definitivamente la posizione di Sergio Galli e Paolo Gimmelli, gli ex fidanzati di Betta Dellagro. Hanno un alibi di ferro per l'ora in cui è stata uccisa Veronica Nesti. E poichè presumibilmente l'autore dei due delitti è la stessa persona...".
"E adesso cosa hai intenzione di fare?".
"Adesso mi sposto dalla tua parte del letto". E spense la lampada sul comodino.
 
***

La ragazza bruna era appoggiata con la schiena alla ringhiera della terrazza. Aveva scelto una posizione privilegiata: da lì poteva guardare cosa succedeva nel salone dove il quartetto ingaggiato dagli sposi aveva deciso di spaccare i timpani agli invitati. Non era l'unico motivo che l'aveva indotta a isolarsi: non era stata fortunata, era capitata in un tavolo dove non conosceva nessuno, e dove - lo aveva capito subito - nessuno meritava di essere conosciuto.
"Cazzo...", imprecò a bassa voce quando vide il giovanotto bruno che si stava avvicinando. Sul terrazzo non c'era anima viva, oltre a lei, ed erano inequivocabili le intenzioni dello sconosciuto: abbordarla.
Lei non voleva essere abbordata. Era uscita da poco da una relazione tormentata, a dir poco. Tre anni d'inferno con scenate di gelosia e botte. Fece per allontanarsi ma ormai era troppo tardi.
"Non ce la facevo più, là dentro stavo per diventare sordo".
"Meglio muto", disse la bruna.
Lui fece finta di non sentire. "E poi - aggiunse - perchè rimanere dentro se l'unica persona interessante non c'era più?".
"Ma se neppure mi conosci! Per favore, lasciami in pace, voglio rimanere sola".
"Ok, ma fatti dire una cosa: non so chi ti abbia fatto quella farfalla sul polso, ma se lo vedi digli che non ho mai visto un tatuaggio così bello in vita mia". E si allontanò.
"L'ho fatta io", mormorò la bruna.
Lui si bloccò di colpo. Si voltò e le fece un inchino.
"Ma non eri diventato sordo?", disse lei, stavolta ad alta voce. E gli sorrise.
Il giovanotto fece dietro-front: "Come vedi, siamo fatti l'una per l'altro: tu dipingi le persone, io le squarto. Piacere, Giovanni Brossio, medico legale".
Sei mesi dopo diventarono marito e moglie.
"Ma di questo passo, commissario, prima o poi mi chiederà il divorzio", disse Brossio ad Arnò. "Sono due giorni che non torno a casa".
"Non mi dica, dottore, che ha dormito su una lastra dell'obitorio...".
Brossio sorrise: "No, fortunatamente ho una brandina nell'Istituto di Medicina Legale che tiro fuori nell'emergenza. E lo è davvero con un cadavere dietro l'altro".
Quel giovanotto gli piaceva sempre di più e avrebbe volentieri continuato la conversazione. Ma là fuori c'era un assassino che bisognava prendere al più presto. In perfetta convergenza d'idee, anche Brossio voleva spicciarsi, aveva promesso alla moglie di portarla a pranzo fuori. Tirò fuori dalla valigetta il referto dell'autopsia e lo consegnò al commissario. Secondo prassi, gli disse subito le cose salienti: "Non è stata violentata, la ragazza era vergine. Quella sera non ha cenato, ha mangiato soltanto un tramezzino ed ha bevuto una coca cola".
"Strano, gli sportivi dopo aver fatto allenamento hanno una fame da lupo", osservò Arnò.
"Evidentemente aveva fretta. La stessa che ho io in questo momento. Non le dico arrivederci, commissario: benchè lei mi sia molto simpatico, non ho alcuna intenzione di rivederla".
"E nemmeno io". Due delitti erano più che sufficienti.
 
***
 
Lunedì 28 aprile - Ore 10
Il referto della scientifica sarebbe arrivato nel tardo pomeriggio. Arnò sperava che l'assassino stavolta fosse stato meno prudente. Il commissario contava molto anche su Rachele Caramanno per fare luce sul secondo delitto, e di conseguenza anche sul primo. Era la ragazza che aveva diviso l'appartamento con Veronica Nesti. Adesso era dall'altra parte della scrivania di Arnò.
Non giocava a pallavolo ("La rete non fa per me, mi piacciono gli sport di contatto"), ma era sufficientemente alta per prendere i palloni sotto canestro: "Sono un pivot, gioco in B, ma più che altro è un passatempo: io lavoro, faccio la fotomodella".
Sotto la cascata di capelli ricci e biondi i suoi bellissimi occhi azzurri erano rossi di pianto: "Veronica ed io non eravamo soltanto amiche, stavamo insieme da due anni".
Le compagne di squadra della Nesti non glielo avevano detto. "Lo sanno benissimo, hanno taciuto per riservatezza, commissario".
"Mi parli di Veronica...".
"Aveva soltanto me, commissario. Era figlia unica e i genitori sono morti tre anni fa in un incidente stradale in Toscana. Lei era di Prato, ha venduto la casa e si è trasferita in Lombardia. Ha giocato un paio di anni in una squadra di Como e poi è arrivata qui a Busto. Ci siamo conosciute ad una festa, dopo un paio di mesi ha lasciato la foresteria del Royal Team ed è venuta ad abitare con me. Eravamo felici...".
"Cosa è successo sabato sera?".
"L'aspettavo a cena, avevamo deciso di non uscire, di trascorrere insieme la serata guardando un film. Alle 22,10 mi ha chiamato e mi ha detto che avrebbe fatto una mezzora di ritardo, non mi ha spiegato perchè. E' stata l'ultima volta che l'ho sentita. Alle 23, non vedendola arrivare, ho provato a chiamarla, ma il cellulare era irraggiungibile".
"Negli ultimi giorni le è sembrata strana, preoccupata per qualcosa?".
"No, commissario. Ovviamente era scossa per quello che era accaduto a Betta Dellagro, ma per il resto... la Veronica di sempre... una ragazza meravigliosa...".
"Mi spiace farle questa domanda, ma devo chiederglielo: è certa che non ci fosse qualcun altro nella vita sentimentale di Veronica?".
"Vuol dire un uomo? No, commissario, ne sono certa: nè uomini nè donne".

***

Accordo? Patto? Compromesso? Qualunque cosa fosse, accontentò entrambi.
Arnò ottenne dal questore gli uomini che aveva chiesto per sorvegliare 24 ore su 24 tutte le pallavoliste del Busto Royal Team, il questore ottenne da Arnò la sua presenza alla conferenza stampa indetta per martedì 29 aprile alle 11.
Refrattario a qualsiasi tipo di rapporto con i giornalisti, il commissario considerava le conferenze stampa una perdita di tempo e, soprattutto, una rottura di scatole. Invariabilmente delegava a prendervi parte il suo vice e già immaginava i commenti dei cronisti, tutt'altro che abituati a vederlo in conferenza stampa: "C'è pure Arnò, è la fine del mondo".
Intanto il commissario doveva sorbirsi le battute di Francese: "Tu non sai quanto mi dispiace non prendere parte alla conferenza stampa al posto tuo, non aspettavo altro da quando sono arrivato a Busto".
"Da quando sei arrivato a Busto - replicò Arnò - ci sono stati due omicidi nel giro di tre giorni. Non è che porti male?".
La superstizione, tuttavia, non faceva parte del bagaglio culturale di Gianni Arnò: "E' inutile che controlli, sono sempre due, e sono sempre mosce", ripeteva ogni qualvolta Giuseppe Francese si sfregava i pantaloni nel pieno rispetto della suia napoletanità.
"Ma i giornalisti qui a Busto - chiese Francese - sono stronzi come quelli di Napoli oppure se ne salva qualcuno?".
"In linea di massima si, ma ce n'è una che... mamma ro Carmene!", espressione che aveva imparato da Francese e che il vice commissario tirava fuori quando vedeva una ragazza che meritava particolare attenzione.
La giornalista in questione lavorava per una televisione privata di Busto e "i bene informati - aggiunse Arnò - dicono che abbia una relazione con il vice sindaco. In ogni caso, questa Mara Minieri è davvero l'unico motivo d'interesse della conferenza stampa di domani. Se vieni, te la presento".
Francese non accettò l'invito. Da quando era stato cacciato di casa, gli unici suoi pensieri sull'argomento erano per la moglie. Improvvisamente, come spesso accade in questi casi, la separazione forzata lo aveva... riavvicinato alla consorte non solo dal punto di vista affettivo. Giovanna Esposito, la moglie di Francese, non era quel che si dice "una bellezza", ma la lontananza dal letto coniugale l'aveva notevolmente rivalutata agli occhi del vice commissario, il quale telefonava spesso ai figli anche per chiedere "aggiornamenti". La risposta era sempre la medesima: "Papà, stai tranquillo, mamma non si vede con nessuno". Più volte erano stati tentati di aggiungere "Benchè te lo meriteresti, brutto stronzo", ma come genitore Giuseppe Francese non lo meritava: se aveva fallito come marito, era stato pur sempre un ottimo padre.
La "bramosia domestica" di Francese, tuttavia, durò fino alle 11,07 di lunedì 28 aprile.
"Le presento il mio nuovo vice commissario, il dott. Giuseppe Francese".
"Piacere di fare la sua conoscenza", disse lei.
"Il piacere è tutto mio", rispose lui.
Il tutto accompagnato da uno scambio di sguardi e da una stretta di mano molto più lunga del necessario che non sfuggirono ad Arnò.
Il commissario guadagnò una nomination per l'Oscar dell'opportunismo: "Non me ne voglia, dottoressa Croce, ma devo assentarmi. Qualche minuto fa mi ha telefonato il questore, vuole che vada da lui per organizzare la conferenza stampa di domani". Una deliziosa bugia per togliere il disturbo. "Vorrà dire - aggiunse mentre indossava la giacca - che spiegherà tutto al dott. Francese".
La dottoressa Croce, ispettore della Scientifica della Polizia di Busto, si chiamava Eliana, era divorziata, aveva 38 anni, un viso grazioso e grandi occhi nocciola che immediatamente si affrettò a mostrare a Francese togliendo gli occhiali e poggiandoli sulla scrivania di Arnò. Senza, non avrebbe potuto distinguere una sola parola del referto che aveva portato con sè, ma lo sapeva a memoria. "La cosa più interessante - esordì l'ispettore Croce - sono le briciole di pane, uovo sodo e tonno in scatola che abbiamo rinvenuto nell'abitacolo nella vettura di Veronica Nesti".
"E' il tramezzino che la ragazza ha mangiato prima di essere uccisa", precisò Francese. Ma cosa ci trovi di particolarmente interessante? Posso darti del tu, vero?".
"Ci mancherebbe", e sparò in faccia al vice commissario un sorriso. "D'interessante c'è che le briciole le abbiamo rinvenute soltanto dalla parte del guidatore. Quindi...".
"...il tramezzino lo ha mangiato soltanto lei", aggiunse Francese, e ricambiò il sorriso.
"A meno che - aggiunse Eliana - l'assassino non sia stato talmente abile da consumare il suo tramezzino senza lasciare traccia. Ma è piuttosto improbabile. L'altra cosa riguarda il cellulare della ragazza, ma te la dirò soltanto se sarai così gentile da andarmi a prendere un bel caffè".
"Guarda che quello della nostra macchinetta fa schifo", la mise in guardia Francese.
"Lo so benissimo, è lo stesso che beviamo noi della Scientifica. Ma ne ho proprio bisogno, senza caffè io non so stare. Possibilmente ristretto e senza zucchero, grazie".
Il vice commissario tornò un paio di minuti dopo e, oltre al caffè, le portò un cioccolatino.
"Grazie, ma dove l'hai trovato? Di macchinette che sfornano cioccolattini sfusi non ne ho mai viste".
"Me lo sono fatto dare da Ada, una nostra poliziotta che non fa altro che mangiare dolci dalla mattina alla sera. Basta guardarla per capirlo: non è mica come te, sai".
"E io come sarei, signor vice commissario?".
"Se mi permetti d'invitarti a cena, te lo dirò stasera".
"Facciamo domani, questa sera ho del lavoro arretrato da smaltire. Ma ti stavo dicendo del cellulare. Alle 22,19,  dieci minuti dopo aver fatto l'ultima chiamata, Veronica Nesti lo ha spento e non lo ha riacceso più".
 
***
 
Era giunto il momento di fare il punto della situazione, di mettere a disposizione dell'altro le proprie impressioni su quello che era accaduto. Uno scambio di idee al quale Arnò e Francese attribuivano grande importanza: si chiusero nell'ufficio del commissario e avvisarono il centralino di non passare chiamate per un'ora.
Arnò, che aveva drasticamente ridotto il consumo di sigarette, ne fumava soltanto tre al giorno. Dopo i pasti. Quello della mattina, tuttavia, non poteva essere considerato tale: caffè nero e un biscotto. "Il pasto più importante della giornata? Lo sarà forse per gli inglesi che si abboffano, ma non per me che sono di Brescia", aveva detto a Silvia quando andarono a vivere insieme. La sua compagna gli aveva preparato una prima colazione che manco la regina Elisabetta...".
La quarta Camel giornaliera, una tantum, il commissario la riservava ai colloqui con il suo vice. E Francese anche stavolta s'incazzò: "Fai presto a consumare quella schifezza, lo sai bene che il fumo mi da fastidio. E, per favore, non raccontarmi la storia del dromedario sul pacchetto delle Camel, me l'hai detta almeno cinquanta volte".
La "schifezza" il commissario andò a fumarsela appoggiato di spalle alla base della finestra, maledicendo Francese che l'aveva costretto ad aprirla. Busto aveva riservato ai suoi abitanti una giornata grigia e piovosa, e faceva freddo.
"Speriamo che non mi venga un accidenti".
"Speriamo che non ci sia un terzo omicidio", ribattè Francese.
"Se è un serial killer, purtroppo dobbiamo aspettarcelo".
"Ma perchè, hai qualche dubbio?".
"Diciamo che ci sono forti probabilità che entrambe le vittime conoscessero l'assassino. Betta Dellagro - puntualizzò il commissario - è stata uccisa nel proprio appartamento e non sono state forzate nè la serratura della porta d'ingresso nè quella del cancello".
"Vero, ma l'assassino avrebbe potuto facilmente procurarsi le chiavi", replicò Francese.
"A proposito, Giuseppe: ricordami che dobbiamo parlare con gli impiegati della segreteria del Busto Royal Team. Il presidente mi ha detto che ce li avrebbe mandati al più presto, ma finora non si sono visti. E veniamo a Veronica Nesti: esce dal Palayamamay e invece di andare a casa, dove l'aspetta la compagna per cenare assieme, carica l'assassino in macchina e davanti a lui si mangia tranquillamente un tramezzino. Non ti sembra strano?".
"Si, ma nulla prova che il tramezzino se lo sia mangiato in presenza dell'assassino. Le cose potrebbero essere andate così: la Nesti esce del Palayamamay, non ci vede più dalla fame, va in un bar e compra il tramezzino... Secondo me è il caso di fare un'indagine tra i negozianti della zona".
"Giusto. Ma l'assassino? Tu faresti entrare in macchina uno che non conosci sapendo che due giorni prima hanno ammazzato una tua compagna di squadra?".
"Io no, ma nulla esclude che lei possa averlo fatto. L'assassino blocca la macchina chiedendole aiuto, lei lo fa salire e avverte la compagna che arriverà a casa con mezzora di ritardo".
"D'accordo - disse Arnò -, ma come te lo spieghi che sono andati a finire in via Cosentini?".
"E' semplice: l'assassino entra in macchina, tira fuori la pistola, le ordina di spegnere il cellulare per evitare che la Polizia possa ricostruire il tragitto e la costringe ad andare in via Cosentini. Qui la strangola, disegna la A sul braccio, esce dalla vettura e si dilegua".
Suonò il telefono. Francese balzò di soprassalto sulla sedia. "Ti avevo detto che non volevamo essere disturbati... che cosa è successo di tanto urgente?... Ok, vengo subito". Poggiò la cornetta e guardò Arnò: "C'è uno qui fuori che dice di essere l'assassino".
 
***

Un metro e sessantacinque, corporatura esile.
L'uomo che si presentò in commissariato dichiarando di aver ucciso Betta Dellagro e Veronica Nesti non possedeva certo le caratteristiche indispensabili per ammazzare con la forza delle braccia atlete che, probabilmente, con uno schiaffone l'avrebbero mandato gambe per aria.
Un mitomane? Non appena lo videro, Arnò e Francese non ebbero dubbi. Del resto mai in carriera avevano avuto la fortuna di imbattersi in un assassino vero che un bel giorno, nel pieno delle indagini, toglie tutte le castagne dal fuoco dicendo: "Sono stato io".
Purtroppo, quando ti capita tra i piedi un mitomane, non puoi accompagnarlo immediatamente a calci nel sedere fuori dal commissariato. Prassi vuole che lo faccia accomodare e che lo stia a sentire, anche perchè tra le tante fandonie che andrà a raccontare potrebbe esserci qualcosa di utile alle indagini.
 
- "Nome e cognome?".
- "Edoardo Fossi".
- "Data e luogo di nascita?".
- "Sono nato a Busto Arsizio il 28 marzo 1978".
Cercando di perdere il minor tempo possibile, Arnò andò dritto al punto:
- "Perchè ha ucciso Betta Dellagro e Veronica Nesti?".
- "Perchè odio le donne e la pallavolo".
Inutile chiedergli il motivo, sarebbe stato soltanto una perdita di tempo.
- "Come ha fatto ad entrare in casa di Betta Dellagro?".
- "Ho fatto il doppione delle chiavi. Io faccio tutto da me, a casa ho una piccola officina".
- "E Veronica Nesti? Ci dica come sono andate le cose...".
- "L'ho seguita in macchina, l'ho bloccata, sono entrato nella Twingo e l'ho uccisa".
- "Perchè ha scritto sul polso di Betta Dellagro una V con il coltello?".
- "V è l'iniziale di volley, ve l'ho detto che lo odio".
- "E la A sul polso di Veronica Nesti cosa vuol dire?".
- "A come Arma, commissario".
- "Quale arma, signor Fossi? Le due ragazze sono state uccise a mani nude".
- "Questa, signor commissario".
 
Avvenne tutto in un attimo. Con una rapidità sorprendente l'uomo si tolse un mocassino, ne estrasse una pistola e la puntò in faccia ad Arnò.
 
***
 
"Per prima cosa mettete su questa scrivania le pistole e i cellulari. Non fate scherzi, altrimenti sparo".
Quell'unica frase, e soprattutto il suo sguardo, fecero capire ad Arnò che:
- Non era un mitomane.
- Faceva terribilmente sul serio.
- La confessione era soltanto una scusa per parlare con lui. Ma di cosa?
 
Fossi prese le pistole dei due poliziotti, tolse il caricatore e le poggiò a terra, sotto la sua sedia. Spense i cellulari, li mise nella giacca, se la tolse e, sempre puntando l'arma in direzione di Arnò e Francese, l'appoggiò sullo schienale della sedia. Indietreggiò verso la porta, la chiuse a chiave e tornò con passo calmo ma deciso verso la scrivania.
"Adesso, commissario, chiami il centralino e dica esattamente "Non passate telefonate fino a nuovo ordine". Se aggiunge anche una sola parola, io sparo".
Arnò eseguì l'ordine alla lettera.
"Molto bene. E ora prendete due sedie e accomodatevi vicino al muro, l'uno accanto all'altro, sotto la foto di Mattarella".
"Senta, signor Fossi...".
Francese fu immediatamente zittito: "Non voglio sentire una sola parola. Qui dentro parlo solamente io. E fate bene attenzione a quello che dirò perchè non lo ripeterò due volte. La vedete quest'arma? Si chiama Lifecard perchè è grande come una carta di credito, si può nascondere facilmente anche in una scarpa". E, quasi a sbeffeggiarli, si tolse nuovamente il mocassino e glielo mostrò.
"In Italia - proseguì Fossi - è quasi impossibile trovarla, sono andato fino a New York per procuramela e, tra costo del viaggio e costo della pistola, se ne sono andati più di 1500 Euro. Erano tutto quello che possedevo. Questo per dimostrarvi che faccio sul serio. E adesso passiamo al motivo della mia visita: io sono incensurato, il mio nome non vi dirà nulla, ma quello di mio fratello probabilmente sì. Si chiama Stefano. Tre anni fa è finito in galera per un reato che non ha commesso: detenzione di stupefacenti... cocaina... Gli hanno messo 100 grammi di droga in macchina e l'hanno incastrato. E' stato condannato a cinque anni, ne deve scontare ancora due, ma se rimane in galera morirà: non ce la fa a stare dentro, sta dando di matto, ha già tentato il suicidio tagliandosi le vene. Abbiamo chiesto gli arresti domiciliari, ma glieli hanno negati. Eppure li danno a cani e porci, anche a gente chiaramente colpevole, mentre mio fratello non lo è. Ecco perchè sono qui: vi terrò in ostaggio fin quando non mi garantirete che Stefano avrà i domiciliari".
"Si rende conto che sta peggiorando la situazione?", intervenne Arnò.
"Se si riferisce a me, le assicuro che non me ne fotte un cazzo di finire in galera. Sono disoccupato, mi arrangio facendo qualche lavoretto qui e là, e tranne Stefano non ho altri affetti".
Bloccati su una sedia mentre fuori c'era un assassino che poteva colpire nuovamente da un momento all'altro. Arnò provò a convincere Fossi: "Le prometto che m'interesserò personalmente al caso di suo fratello".
"Non mi basta! Ammesso e non concesso che lei mi stia dicendo la verità, non potrà occuparsi di Stefano prima di aver risolto il caso delle pallavoliste uccise. Ma sarà troppo tardi, mio fratello potrebbe cercare nuovamente di togliersi la vita. Lo sa perchè ho preso proprio lei in ostaggio, commissario? Perchè è l'unico che può prendere il serial killer, e il questore lo sa benissimo. Perciò adesso lei lo chiama e lo informa di quello che sta succedendo. Gli dica che io non mi muoverò da qui fin quando mio fratello non sarà a casa".
"Guardi, signor Fossi, che non è tanto semplice commutare una pena, c'è tutta una procedura che richiede tempo. E non è cosa di competenza del questore, riguarda la magistratura".
"Se le sparo interessa al questore? Penso proprio di sì. E allora alzi le chiappe da quelle sedia e lo chiami. Poi se la vedrà lui con la magistratura, con il prefetto o con chi riterrà più opportuno".
Arnò chiamò in questura. "Come non c'è!... E dov'è andato?... Cercatelo immediatamente e fatemi chiamare subito. E' cosa della massima urgenza".
Il commissario scosse la testa: "Questo qui non si è mai preso un giorno di vacanza in vita sua e quando se lo va a prendere?... Hanno detto che alle 11 ha lasciato l'ufficio dicendo che non sarebbe tornato. E ha staccato il cellulare".
"Commissario, non faccia il furbo con me".
"Non ho alcuna intenzione di prenderla per il culo, Fossi. Anch'io voglio che questa vicenda si concluda al più presto. Vedrà che il questore si farà vivo. Anzi, mi faccia annullare subito l'ordine che ho dato al centralino, altrimenti continueranno a non passare le telefonate".
Fossi annuì con un cenno della testa: "E metta il viva voce".
Dieci minuti dopo squillò il telefono. Era Bartolo Grosso, il vice questore vicario.
"Commissario, non siamo riusciti a rintracciare il questore. Dica pure a me".
Arnò spiegò brevemente la situazione. "Oh porco cazzo!" fu la risposta.
Archiviato lo stupore, Grosso prese in mano la situazione: "Siete in viva voce, Arnò? Bene. E allora signor Fossi, mi stia a sentire: consegni immediatamente la pistola al commissario e se ne vada a casa. Noi faremo finta che nulla è successo. E per quanto riguarda suo fratello, le assicuro che faremo tutto il necessario, e nel più breve tempo possibile, affinchè possa ottenere gli arresti domiciliari".
Con un cenno della mano Fossi indicò ad Arnò di tornare a sedersi. Prese il telefono e "Adesso ascolti me, e lo faccia attentamente. Innanzitutto la ringrazio per la sua proposta assolutamente disinteressata. Le farebbe comodo che nulla fosse successo, vero? Io me ne vado tranquillamente, la stampa non viene a conoscenza dell'accaduto e voi evitate una clamorosa figura di merda. Sono anche disposto a farlo, ma soltanto quando mio fratello sarà a casa. Cosa ne pensa?".
"Non siamo disposti ad accettare i suoi ricatti. Le ripeto: consegni immediatamente la pistola ad Arnò e se ne vada".
"D'accordo, lo avete voluto voi. Adesso sono le 13: se entro le 16 mio fratello non sarà a casa, io sparerò ad una gamba del commissario. Mi faccia sapere". E chiuse il telefono in faccia al vice questore vicario.
 
***
 
Alle 13,10 arrivò una telefonata al centralino del commissario di Busto Arsizio: "Sono il portiere del civico 14 di via Morelli. Venite subito, hanno ucciso un uomo".
 

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